Forse con il lockdown soft non ce ne siamo resi conto. Forse l’epica della prima ondata, con i canti dai balconi e la paura per un nemico invisibile e sconosciuto è evaporata in questo deja vu sbiadito d’autunno. Ma la verità è che ce la siamo vista brutta. Mentre il Piemonte si appresta a entrare in zona gialla, tra negozi aperti e luci di Natale, possiamo dare un’occhiata a quel che è successo nelle scorse settimane e comprendere che no, la seconda ondata non è stata più lieve. Anzi, è stata peggiore della prima. Per dare un’ordine di idee il giorno nero della prima ondata è stato l’11 aprile. Quel sabato vennero scoperti in Piemonte 996 nuovi casi di Covid. Il peggiore della seconda ondata è invece stato il 19 novembre quando sono spuntati 5.349 nuovi positivi. E’ possibile che non ci siamo accorti di questa enorme differenza? Partiamo da una considerazione che può sembrare banale: la percezione. Durante la prima ondata le conferenze stampa alle 18 della Protezione civile si susseguivano giornalmente facendoci vivere in un continuo stato di tensione emotiva. Eravamo tutti chiusi in casa. Oltre a preoccuparci, c’era ben poco altro da fare. Nella seconda ondata molti hanno continuato la loro vita di sempre, sebbene sottoposti alle restrizioni della zona rossa. Le conferenze stampa sono sparite dai palinsesti, ma il coronavirus ha continuato a colpire anche senza andare in onda a reti unificate.
Seconda constatazione: i tamponi. Tra il 1° marzo e il 31 maggio in Piemonte sono stati eseguiti 318.771 test. Tra il 1° ottobre e il 30 novembre 832.691, più del doppio. La correlazione tra numero di esami e casi scoperti è palese ed è stata una delle critiche più aspre rivolte alla gestione della prima ondata da parte del Piemonte: il numero di tamponi era molto inferiore a quello che si faceva in altre regioni colpite come il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna. In questo modo, era l’accusa, si stava sottostimando il reale numero di positivi nella nostra regione.
Tuttavia anche il raddoppio dei tamponi non può spiegare l’enorme numero di casi positivi scoperto nella seconda fase. C’è da interrogarsi su quanto il lockdown soft abbia giocato in favore della diffusione del contagio.
La diffusione tra i giovani
Entrando più nel dettaglio è possibile scoprire altre differenze tra la prima e la seconda ondata. Per esempio la fasce d’età colpite sono state diverse.
Durante la prima ondata a subire le peggiori conseguenze del contagio sono stati gli ultra 85enni. La loro curva è stata non solo quella con il picco più alto, ma anche la più lunga. Nella seconda ondata, invece, abbiamo assistito a un fenomeno nuovo: tutte le fasce d’età hanno avuto una crescita esponenziale fulminea. Sono andate di pari passo dal 1° ottobre al 1° novembre, con un lieve anticipo della fascia 19-24 anni (ricordate le polemiche sulla movida?). La fascia 25-44 anni è praticamente sovrapponibile a quella 45-64, cosa che non era accaduta nella prima fase. E la fascia 65-84 anni svetta su tutte le altre, tanto da aver cominciato la discesa una settimana dopo le altre, l’8 novembre. Gli ultra 85enni questa volta sono stati meno colpiti: hanno avuto un picco di 400 casi ogni 100.000, la metà di quello dei 65-84 enni.
Il sistema sanitario traballa
L’esplosione di casi positivi, ovviamente, si è tradotto in un affollamento degli ospedali. Nonostante le previsioni estive e la predisposizione di un numero maggiore di posti letto, siamo stati colti impreparati. Pensavamo che i 3.500 ricoveri ordinari della prima ondata sarebbero rimasti un brutto ricordo. Nelle scorse settimane invece abbiamo oltrepassato il muro dei 5.000 posti letto ordinari occupati da pazienti Covid. Questi numeri hanno messo a serio rischio la tenuta del sistema sanitario regionale, con frizioni tra la politica – che chiedeva la trasformazione di molti reparti in aree per la cura del Covid – e i medici – preoccupati dall’impossibilità di poter accogliere anche pazienti con altre patologie gravi.
Una minore mortalità
L’unico valore della seconda ondata inferiore a quello nella prima è la mortalità. Nei 60 giorni più virulenti della scorsa primavera, dal 2 aprile al 31 maggio, in Piemonte si sono registrati 2.884 decessi. Tra il 3 ottobre e lo scorso 1° dicembre i morti sono stati 2.137. La differenza è ancora più notevole se si considera l’altissimo numero di positivi individuato questo autunno, ma questo non è dovuto a un indebolimento del virus bensì ai diversi soggetti colpiti. Nelle ultime settimane hanno contratto il virus persone più giovani, più robuste, senza patologie croniche. La prima ondata aveva invece colpito in modo feroce gli ultra 85enni, decimandoli. Molte persone, che forse sarebbero morte nella seconda ondata, purtroppo erano già state spazzate via dalla prima.
In questo momento nuove restrizioni sono state imposte dal governo per evitare una terza ondata natalizia. Non sappiamo ancora se ci sarà e quali caratteristiche assumerà. Sappiamo però che, nel caso dovesse presentarsi, questa volta si sommerebbe con l’influenza tradizionale, quest’anno in ritardo proprio grazie alle precauzioni adottate per l’emergenza Covid.
Articolo di RAPHAEL ZANOTTI per LaStampa.it