La dinamica è sempre la stessa: quando si è un pesce grande ci si comporta da ‘bulli’ contro i piccoli. Quando, invece, si diventa pesce piccolo, si pretende (giustamente e legittimamente) che la propria voce abbia un peso specifico non indifferente. Ed è la storia del leader di Italia Viva sul Recovery Fund e il suo ultimatum (l’ennesimo dall’inizio della maggioranza giallorossa) sulla task force decisa da Conte per la gestione dei 209 miliardi. Matteo Renzi sui veti dei piccoli partiti (come lo è ora, a livello sondaggistico ed elettorale IV) era molto deciso e caustico nel 2017. Era il 31 maggio del 2017 e Matteo Renzi era stato da pochi giorni rieletto segretario del Partito Democratico. Arrivava dalle dimissioni post Referendum fallito e se la prendeva – in onda su Rai1, ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta – contro i piccoli partiti che mettevano i veti. Renzi sui veti dei piccoli partiti: storia del 2017. Renzi sui veti dei piccoli partiti aveva un’idea ben precisa: erano inaccettabili. Ora, a oltre tre anni di distanza, questa sua idea sembra essere stata stravolta dal corso degli eventi. Ha lasciato il Partito Democratico, ha fondato Italia Viva con i suoi deputati e senatori fedelissimi. Ma non è riuscito a entrare e scaldare i cuori degli italiani. Le percentuali nei sondaggi, infatti, non hanno mai premiato la creatura fortemente voluta dal politico toscano. Anzi, leggendo i numeri appare evidente come – allo stato attuale – Italia Viva sia esattamente quel piccolo partito (che mette i veti).
Si arrampica sui veti. Il mondo, dunque, si è capovolto. La realtà è che Renzi aveva torto nel 2017 e ora – come inevitabile – quel tweet è tornato a galla. I piccoli partiti, specialmente chi fa parte del governo (e costituisce la gamba di una sedia fondamentale alla tenuta dell’esecutivo), hanno sempre diritto di parlare e dire ciò che pensano. Insomma, il veto vale sempre. Non solo ora.
(foto di copertina: da profilo Twitter di Matteo Renzi)
Articolo di Enzo Boldi per HuffingtonPost.it