Lamorgese e Gabrielli viminale Illustrazione di Emanuele FucecchiC’è un sistema che negli ultimi anni, anziché rafforzare la “mission” della Legalità, sembra aver diffuso un “virus” nel cuore del Viminale, per trasformarlo in un centro di potere che favorisce chi agisce all’ombra della mafia, contestualmente schiacciando chi la combatte.  Potrebbe chiamarsi “mafia-Viminale”, se non fosse che gli attuali vertici hanno le “facce pulite” del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e del capo della Polizia Franco Gabrielli. Che però rischiano di intestarsi questo marchio indelebile se non saneranno il vulnus, chiarendo alcune “devianze” di potere, ma anche aspetti del loro lato oscuro: dai sistemi Montante-Odevaine ai funerali show del boss Casamonica. 

 D’altronde il contesto è decisamente allarmante. Da un lato Lamorgese mette le mani avanti – “ora le imprese chiedono aiuto alla mafia” – seguita dal prefetto di Napoli Marco Valentini sui “clan all’assalto dei fondi UE”. Dall’altro la denuncia tranchant del direttore di Europol Catherine De Bolle sulle “mani delle mafie sul Recovery Fund” e l’“incremento dell’infiltrazione nell’economia legale”.  A De Bolle ha risposto piccato Gabrielli, per il quale “ci identificano come un luogo in cui i fondi europei non vengono correttamente utilizzati, perché facciamo controlli che altri paesi non fanno”. Con a ruota il suo vice Vittorio Rizzi, anche presidente dell’Osservatorio sulle infiltrazioni mafiose, per il quale “se infiltrazioni ci sono state, non ne abbiamo ancora piena consapevolezza”.

Mentre invece tale consapevolezza per altre forze di polizia è già consolidata, visto che solo nel 2020 ci sono state almeno tre imponenti operazioni su infiltrazioni e fondi UE: “Messina, le mani dei clan sui fondi europei” (94 arresti tra Carabinieri e Guardia di Finanza), “Palermo, truffa sui fondi europei per agricoltura e turismo” (24 arresti dalla Guardia di Finanza) e da ultimo l’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Bari “soldi UE ai clan” (48 arresti dei Carabinieri), con l’aggravante che l’OLAF – Ufficio antifrode UE aveva pure avvisato.

Ma c’è anche il recente rapporto-denuncia di Libera sul “business dei clan al tempo del Covid”, nonché il monito del procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia, che non limita il fenomeno al Sud, ma evidenzia pure come “con la pandemia le aziende del Nord sono le più esposte alla penetrazione delle mafie” e avverte: “Dobbiamo evitare il patto tra boss, politici e imprenditori”.

Con una grave crisi di ordine pubblico socio-economico-sanitario e le piazze in turbolenza, è evidente il ruolo cruciale del Viminale. Basti pensare alle interdittive antimafia con cui i prefetti sanciscono se un imprenditore sia affidabile o meno e meriti di essere assegnatario di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Ma anche al ruolo operativo dei questori: per le misure di prevenzione personali (avvisi orali, fogli di via e sorveglianze speciali) e patrimoniali (sequestro anticipato e confisca), presupposti delle suddette interdittive; oltre che per il coordinamento delle risorse messe a disposizione dell’Autorità giudiziaria per i servizi investigativi antimafia, essenziali per sgominare e sradicare i clan dai territori. Non da ultimo per la gestione dell’ordine e la sicurezza pubblica, cui fanno capo tutte le altre Forze dell’ordine e le Forze armate.

Ad incupire l’orizzonte il duo Lamorgese-Gabrielli, che sembrano predicare bene e razzolare male, recitando la parte degli affidabili-buoni, diversi da chi li ha preceduti.

Lo hanno evidenziato anche le dichiarazioni-squarcio del presidente di Amnesty Riccardo Noury, che si è spinto a “dubitare che le intenzioni siano sincere”, facendo riferimento alle ultime “vergognose” promozioni del Viminale di questori spezzabraccia e condannati del G8 – di cui noi di TPI ci siamo già occupati – che, allargando lo spettro, permettono di focalizzare un sistema che, dietro una “facciata imbiancata”, da anni rende intoccabili-impuniti anche dirigenti in odore di mafia, contestualmente vessando i poliziotti scomodi, con demansionamenti, trasferimenti, destituizioni/licenziamenti o dispense per motivi psico-fisici per lo stress subito.

Si tratta di investigatori antimafia, come quelli delle squadre anti-clan che operavano nel territorio di Ostia, Latina e Roma, smantellate proprio quando stavano producendo brillanti risultati. Ma anche sindacalisti che si battevano per la sicurezza sul lavoro e/o contro sprechi e privilegi, antefatti della corruzione.

“Devianze” su cui pure sono state presentate innumerevoli interpellanze/interrogazioni parlamentari, senza che i vertici si siano mai degnati di rispondere e/o prendere provvedimenti, in nome del ripristino della Legalità.

Per essere credibili Lamorgese e Gabrielli dovrebbero prima sgomberare il campo sui tanti punti ancora oscuri nella gestione delle ingenti risorse e dei poteri del Viminale, sintetizzabili nella “malalegalità” trasversale in cui sono attualmente coinvolti un centinaio tra prefetti, questori, dirigenti e funzionari della Polizia di Stato – di cui pure noi di TPI ci siamo già occupati – arrestati, imputati o indagati per gravi reati (associazione a delinquere – anche di stampo mafioso – sequestro di persona, corruzione, omissioni, falsi, rivelazione di notizie riservate, violenze – anche sessuali – abusi, depistaggi, truffe, peculati o illeciti erariali).

Ma dovrebbero anche chiarire alcuni loro comportamenti che nel tempo hanno lasciato ombre di connivenza e/o non meno preoccupante incapacità/inadeguatezza, in un momento di crisi tanto delicato, anche nei rapporti con l’UE.

Tra i tanti casi degli ultimi anni, ci si focalizzerà solo su quelli in cui sono entrambi coinvolti in concorso, per aver sottovalutato contesti mafiosi e/o assunto comportamenti omissivi o commissivi ingiustificabili e inspiegabili per chi lavora al Viminale da oltre 30 anni e in prima linea.

Errori e comportamenti per cui peraltro non hanno mai subito alcuna conseguenza per le loro carriere-parallele. Lamorgese nel 2013-2016 era capo di Gabinetto dell’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, poi prefetto di Milano ed ora ministro dell’interno. Gabrielli nel 2011-2013 era capo della Protezione civile – Commissario per l’emergenza profughi, poi crefetto di Roma e dal 2016 è Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza.

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dall'articolo di Filippo Bertolami  per TPI.it 

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