Alle 21.30 la resa dei conti in Consiglio dei ministri. Pd e M5s provano a ricucire lo strappo in extremis, ma Italia viva non si sposta di un passo: da un lato è intenzionata ad approvare il Piano di ripresa dopo la spinta del Colle, dall'altro alza fino all'ultimo la posta in gioco. Faraone: "Voteremo il Recovery e lo miglioreremo, un minuto dopo valuteremo il da farsi". “Stiamo studiando il Recovery plan, lo voteremo, lo sosterremo e lo miglioreremo, un minuto dopo valuteremo il da farsi”. La giornata campale del governo giallorosso comincia così. Con il capogruppo di Italia viva in Senato, Davide Faraone, che non sposta di un passo il suo partito dalla casella della crisi. Dopo che nella tarda serata di ieri tutti i membri della maggioranza hanno ricevuto la versione riveduta e corretta del Piano di ripresa, è solo questione di ore prima che si arrivi alla resa dei conti in Consiglio dei ministri, fissato per le 21.30. Faraone ribadisce come un mantra la linea dettata da Renzi, da un lato arreso ad approvare il Recovery su spinta del Quirinale e dall’altro deciso ad alzare fino all’ultimo la posta in gioco. Pd e Movimento 5 stelle, invece, le provano tutte per far capire all’alleato che a loro parere non è il momento di innescare la miccia. Nicola Zingaretti si appella al “buon senso”. E definisce “un grave errore politico” provocare una crisi che “il 99% degli italiani non capisce”, portando il Paese “in un tunnel di cui nessuno conosce l’uscita“. Mentre il Movimento 5 stelle manda tramite Vito Crimi il suo avvertimento: “Se Renzi si rende colpevole del ritiro dei suoi ministri, con lui e Italia Viva non potrà esserci un altro governo. Esiste un limite a tutto”.
L’asse Pd-M5s-Leu – In queste ore convulse il capo politico reggente esclude quindi che i pentastellati possano seguire Renzi nel tentativo di arrivare a un Conte ter, la cui nascita passerebbe dalla salita al Colle del premier e da un rimpastone dei ministri. “Se ora, nelle condizioni in cui siamo, qualcuno si chiama fuori e saluta la compagnia, per noi è fuori e resta fuori definitivamente“, dice. Anche Luigi Di Maio parla di mossa “inspiegabile” di Iv, non solo “perché siamo nel bel mezzo di una pandemia e dobbiamo fare il decreto ristori. Ma anche perché questo è l’anno in cui l’Italia presiederà il G20 e in Italia ci sarà la conferenza globale sulla salute“, tuona in un’intervista ad Agorà su Raitre. Il ministro scende in campo per difendere soprattutto il presidente del Consiglio, principale bersaglio dei renziani nonostante anche per il Pd sia l’indispensabile “punto di equilibrio” della maggioranza. “Giuseppe Conte ha ottenuto i 209 miliardi dal Recovery Fund, adesso che bisogna spenderli lo si vuole fare fuori. Noi saremo leali a questo premier”, dice Di Maio, tentando di mettere a tacere le voci che lo vogliono da mesi in frizione con Palazzo Chigi. Poi aggiunge: “Si cita Mario Draghi sempre quando il governo è in fibrillazione e quindi viene utilizzato a volte come oggetto contundente contro Conte o contro altri”. L’ex presidente della Bce, spiega, “non merita di finire nel dibattito solo quando c’è da accoppare qualche politico“.
Anche per il capo del Nazareno “ora il leader è Conte. Ha tutte le caratteristiche per continuare a guidare l’alleanza. Anche promuovendo come abbiamo chiesto un’innovazione nei contenuti nel patto di legislatura“, ha dichiarato a Start su SkyTg24. A suo parere, è in questa direzione che devono andare le trattative, soprattutto adesso che “Conte ha mosso qualche passo” e bisogna “andare a vedere le carte“, ragiona Zingaretti. Se le cose dovessero precipitare, invece, “le valutazioni le dovranno fare il presidente del Consiglio con il presidente della Repubblica. Ne discuteremo se e quando queste condizioni si ritroveranno, ma ci si renda conto che si entra in un tunnel la cui uscita nessuno conosce. Io combatto per non arrivare a questo momento”. Il segretario dem esclude quindi categoricamente l’ipotesi di poter entrare a far parte in prima persona della squadra di governo: “Essendo incompatibile” con l’attuale incarico di governatore della Regione Lazio, “penso di poter svolgere un ruolo facendo quello che faccio“.
L’attendismo dei renziani – Italia viva continua invece a giocare la sua partita in solitaria. E le parole di Faraone, in abbinata a quelle della ministra Bellanova intervenuta su Rai Radio1, sembrano proprio andare nella direzione di uno strappo, non appena il Cdm avrà dato il via libera al Recovery. “Noi speriamo di fare la battaglia per il Mes dalla maggioranza, se non ci saranno le condizioni andremo serenamente all’opposizione”, dice il senatore ad Agorà su Rai3. “Facciamo un passo per volta. Per adesso possiamo dire che sul Recovery abbiamo portato un risultato, non per noi, ma per il Paese, perché è stato abbondantemente modificato. Ora valuteremo merito per merito le singole questioni“, si accoda Bellanova. Dichiarazioni che assumono toni sinistri se lette con il filtro dei vari retroscena comparsi oggi sui giornali. Secondo il Corriere della Sera, l’orientamento del leader di Iv è quello di ritirare la sua delegazione dal governo già in serata, esattamente “un minuto dopo” l’ok al Recovery, per dirla con le parole di Faraone. Scenario che al momento nessuno si è affrettato a smentire.
Gli scenari – Cosa succederà dopo? I renziani più volte hanno assicurato che in Parlamento non sarà difficile trovare una maggioranza pronta a sostenere un nuovo esecutivo, con una squadra completamente nuova e magari senza Conte. Ma il presidente del Consiglio, che negli ultimi giorni ha più volte lanciato appelli agli alleati per “ricostruire” il Paese, citando Mattarella, è deciso a giocare tutte le sue carte. Anche passando dalla conta in Aula, se necessario, dove non è affatto escluso che alla fine possa spuntare più di un responsabile disposto a salvare il governo (e la legislatura). I 5 stelle, come ha avvisato Crimi, non sono infatti disposti a un Conte ter con dentro anche Renzi. E il Pd, per tramite del suo segretario Nicola Zingaretti, non ha affatto escluso le elezioni come extrema ratio, pur definendole “una sciagura” in tempo di Covid. La somma dei due fattori è evidente: senza i parlamentari di uno dei due partiti, almeno per il momento alle Camere non esiste alcuna maggioranza alternativa a quella attuale.