Nel primo pomeriggio il premier sale al Colle ufficialmente per parlare con Sergio Mattarella del Recovery plan, ma poi – spiega ai cronisti che lo intercettano all’uscita – per informarlo dello stato di salute della coalizione. Dal presidente della Repubblica arriva l’ennesimo invito a costruire e subito, a “uscire velocemente da questa condizione di incertezza, a fronte dell’allarmante situazione causata dalla pandemia”. Conte pare chiudere a ipotesi di governi appoggiati a deboli stampelle (“no a voti raccolti qua e là”), che peraltro non convincono il Colle. Il governo – dichiara – va avanti “solo con il sostegno di ciascuna forza di maggioranza”. Si augura che non si arrivi alle dimissioni dei renziani al governo e spera che Iv si metta come gli altri partiti al “lavoro per un patto di fine legislatura”.
Ma Renzi tira dritto e ignora la mano tesa del premier facendo dimettere Bonetti, Bellanova e Scalfarotto. “Se c’è un’apertura politica vera si misura in Parlamento, non per strada”, dice. Si fa forte del fallimento, a suo dire, dell’operazione dei responsabili: “Se hanno i responsabili, buon lavoro. Li hanno cercati? Sì. Secondo me non li hanno trovati”. E garantisce che non darà mai i suoi voti per un governo col solo centrodestra. Non chiude alla possibilità di continuare a far parte di questa maggioranza (“Ma se ci vogliono non saremo mai dei segnaposto”, avverte) e nello stesso tempo si dichiara pronto a passare all’opposizione. Non sbarra la strada nemmeno a Conte: “Non c’è alcun veto o pregiudizio”. E contemporaneamente afferma: “Non c’è un solo nome per Palazzo Chigi. Chi dice ‘o tizio o voto’ è irresponsabile”. Tutto e il contrario di tutto, insomma, confermando la sua inaffidabilità che ha tanto irrigidito il premier. Brindano Salvini e Meloni, quanto basta per capire quello che c’è da capire sulla mossa di Renzi.