E Zingaretti prende l'applauso su una linea che non era la sua. Sullo sfondo, un partito terribilmente preoccupato. Carlo Calenda se ne va. Matteo Renzi non si presenta nel giorno cruciale del via libera all’accordo con i 5 stelle. E nel frattempo la Direzione nazionale del Pd approva una linea, che nei fatti, ribalta quanto sostenuto fino a poche settimane fa dal suo segretario, Nicola Zingaretti. Alla fine di una giornata lunghissima e al cardiopalma, il Partito democratico arriva sfibrato, dilaniato, alla meta che precede la nascita di un Governo Conte bis. Neppure Zingaretti, che ha raccolto una standing ovation che non si sentiva da tempo e un voto quasi unanime (solo Matteo Richetti in dissenso), può dirsi soddisfatto.
Il segretario del Nazareno subisce la sua nomenclatura, che lo ha martellato fino allo sfinimento affinché si andasse, non solo a vedere le carte, ma a siglare un patto politico e di Governo con quelli che fino a poche settimane definivano il Pd, “il Partito di Bibbiano”. Ma tant’è.
L’acclamazione di un’assise come quella dei democratici non basta. Perché è vero che “è stata scelta la via della responsabilità”, ha ripetuto Zingaretti nel corso della relazione. Ed è altrettanto che il numero uno del Pd ha coltivato “i dubbi, come è giusto che sia di fronte a scelte che interrogano la coscienza di ciascuno”. Citando Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano che invitava a “riflettere prima di pensare”, e chiosando “con un gettiamo il cuore al di là dell’ostacolo e proviamoci”. Ma provarci significa intraprendere un percorso difficile che “non sarà una passeggiata”, ma “una sfida”, che “se siamo in grado di portare fino in fondo è perché abbiamo portato avanti due elementi: spirito unitario e schiena dritta”.
La parola “unità” rimbomba nella sala dei gruppi parlamentari dove è riunita la direzione dei democratici. Rimbomba perché si tratta pur sempre di un partito diviso in correnti, e soprattutto lacerato ancora oggi dalla contrapposizione fra renziani e antirenziani. Già, Matteo Renzi, l’ex segretario del Nazareno che di fatto con una capriola, di cui non sarebbe capace nemmeno un contorsionista, ha proposto di siglare un patto con i cinquestelle, dopo averli bersagliati per settimane, mese, definendoli “cialtroni”. Perché di questo si tratta. Ecco, dietro a quella standing ovation ci sono le anime del Nazareno, che mugugnano, che rumoreggiano, e che sotto traccia sono impaurite da questo clima di apparente serenità. Non a caso qualche maligno che ha memoria storica ricorda sornione: “L’ultima standing ovation non ha portato bene a Romano Prodi che di lì a poco sarebbe stato impallinato dai famosi 101 franchi tiratori”. Sulla scia anche un fedelissimo di Zingaretti: “Non è un giorno da brindisi. Ci saranno i contraccolpi. Perché abbiamo ancora davanti una serie di incognite”.
E il primo vero contraccolpo è la fuoriuscita di Carlo Calenda. Non partecipa alla direzione e un minuto dopo il via libera della relazione del segretario lascia il partito indirizzando una lunga lettera al segretario e al presidente del Pd Paolo Gentiloni, pubblicata dall’HuffPost. In sintesi, con il M5S, il Pd rinuncia a idee e valori. Noi non abbiamo nulla in comune da spartire con Grillo e Casaleggio. Il concetto è che la destra non si argina con una operazione di palazzo, ma si combatte sul campo, con le elezioni. Ed è lo stesso malessere espresso da Matteo Richetti. L’ex renziano è l’unico ad opporsi alla relazione del segretario. Con una motivazione che recita così: “Alcune settimane fa, la direzione del nostro partito ha assunto un documento proposto da Carlo Calenda che escludeva accordi in questa legislatura con il Movimento 5 stelle. Abbiamo fatto il contrario”. Nel pomeriggio Zingaretti prova a tenere dentro Calenda al quale, sempre su Huffpost, rivolge un appello: “Le tue preoccupazioni sono le mie, ma non possiamo scappare dalle responsabilità. Proviamoci”.
Ma al di là dei “proviamoci” e del “fatto che vogliamo porre fine alla stagione dell’odio” restano le incognite di una fusione a freddo con M5S. In particolare, su quale saranno la squadra e il programma di Governo. “Dipende da quale esecutivo faremo” osserva un altissimo dirigente del Pd. Il quale un attimo dopo tratteggia su un foglio team ideale: “Perché un conto è se chiami Lucrezia Reichlin all’Economia e personalità di alto profilo, un altro è se ti fai fagocitare dai capicorrente. Se tu fai una roba così, fra tre mesi Salvini ti ha mangiato...”.
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