salvini e pastori sardiIn principio furono la Padania e la secessione con il resto d'Italia. Quindi la minaccia reiterata, l'ultima volta nel 2007, di una rivolta fiscale se Roma non avesse abbassato le tasse agli imprenditori del Nord. Dopo 12 anni, è possibile affermare che le tasse sono aumentate costantemente, tanto che la pressione fiscale sfiora ormai il 50%. La Lega ha una lunga tradizione propagandistica di promesse mai mantenute. Un dimenticatoio nel quale sono via via scivolati tutti gli slogan urlati con rabbia da Umberto Bossi prima e da Matteo Salvinipoi. In questo ripostiglio ora rischiano di essere abbandonate, per non vedere più la luce, anche la flat tax, i minibot, il taglio delle accise e molto altro. Proviamo quindi ad avventurarci in questa selva, impolverata, di promesse che hanno piantato le proprie radici nella fiducia degli elettori senza essere mai fiorite in legge. 

 

I PASTORI SARDI ANCORA SENZA RISPOSTA

L'ultima promessa rimasta intrappolata nel mondo virtuale di Facebook e Twitter Matteo Salvini l'ha fatta ai pastori sardi lo scorso febbraio, per scongiurare altre proteste: «Il prezzo del latte deve passare da 60 centesimi a un minimo di 1 euro al litro. Non mi alzerò dal tavolo sul latte fino a quando non lo ottengo». Era il 14 febbraio. Da quel tavolo il segretario federale della Lega si è alzato mesi fa e, a inizio luglio, per gli allevatori l'euro al litro resta un miraggio, tant'è che sono tornati a minacciare nuove rivolte.

IL CONTRATTO DEI POLIZIOTTI NON È STATO RINNOVATO

salvini polizia dietroNonostante Salvini indossi regolarmente la divisa della polizia, in oltre un anno di governo ha dimenticato di rinnovare il contratto di lavoro degli agenti, scaduto già da sei mesi. E così sul sito del Sindacato italiano lavoratori Polizia (Cgil Silp) lo scorso 5 giugno è apparso un contatore per aiutare la memoria del ministro dell'Interno. Segna infatti i giorni trascorsi «senza contratto per gli uomini e le donne in divisa».

Il segretario generale del sindacato, Daniele Tissone, conferma: «Non è stato mai convocato alcun tavolo per iniziare a discutere di rinnovo». E aggiunge: «I rinforzi di personale annunciati anche in questi giorni nelle questure e negli uffici di Polizia sono relativi alla mobilità ordinaria e a vecchi bandi».

ACCISE? NULLA DI FATTO

Il primo marzo 2018, cioè a sole 72 ore dalle elezioni politiche, Matteo Salvini appariva a canali (social) unificati e prometteva: «Cosa faccio se vinco le elezioni? Taglierò dal 5 marzo sette accise. Non possiamo avere la benzina più care d'Europa». Nessuno si aspettava ribassi dei carburanti dal lunedì successivo ma, dopo un anno e quattro mesi di governo, con milioni di italiani pronti a partire alla volta delle vacanze estive, i listini dei benzinai non sono stati ancora ritoccati verso il basso.

FLAT TAX ANNACQUATA

Un'altra promessa non mantenuta – o mantenuta solo per un terzo – e che rischia di scivolare a data da destinarsi è la flat tax. A pagina 19 del Contratto di governo si legge: «Due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie». Rispetto al progetto originario più volte sbandierato da Salvini (una sola aliquota per tutti, al 15%), la tassa del Contratto non era già più così piatta. Ma le variazioni più significative sono state apportate in sede di Legge di bilancio 2019, quando ha preso corpo con riferimento soltanto alle piccole partite Iva con redditi inferiori a 65 mila euro, finendo per rappresentare così un’estensione del regime dei minimi che era stato introdotto dalla Legge di stabilità 2015 dall'esecutivo di Matteo Renzi. E il resto della platea dei contribuenti? Lo scorso 4 luglio, incalzato dai cronisti, Salvini ha dovuto ammettere che il prossimo taglio delle tasse sarà «non per tutti e non subito, ma sostanzioso». L'esatto opposto della flat tax, che era stata annunciata invece «per tutti» e «subito» e che rischia, ancora una volta, di essere rimandata a data da destinarsi.

CANNABIS LIGHT, TANTE MINACCE E NESSUNA MISURA

Lo scorso 8 maggio, in piena corsa per le Europee, Salvini ha attaccato anche il commercio della cannabis legale. «La droga fa male. L'emergenza nazionale è la droga, non il fascismo. Preferisco combattere gli spacciatori. Controllerò tutti i negozi di cannabis light e li sigillerò uno a uno», aveva tuonato a Otto e Mezzo. Il giorno dopo festeggiava via Twitter l'annullamento del Salone della Cannabis di Torino e la chiusura di alcuni negozi in provincia di Macerata: «Dalle parole ai fatti!». In realtà, a eccezione della direttiva che il Viminale ha inviato ai prefetti il 9 maggio e con la quale il ministro si limitava a chiedere «una cura particolare» circa la «verifica del possesso delle certificazioni su igiene, agibilità, impiantistica, urbanistica e sicurezza», non potendo bloccare il commercio di prodotti considerati legali dalla legge numero 242 del 2 dicembre 2016, niente di quanto è accaduto dopo è collegato a decreti del governo o all'attività del parlamento. A disporre la chiusura dei negozi marchigiani è stato infatti il questore di Macerata Antonio Pignataro, nominato dal predecessore di Salvini, Marco Minniti, che da tempo conduce una feroce battaglia solitaria contro la cannabis light. Peraltro, già in passato la Cassazione aveva stabilito la restituzione di cannabis messa in commercio e che Pignataro aveva sequestrato. Quanto al Salone della Cannabis, sono stati gli organizzatori stessi a rinunciare (come spiegato in una nota: «Difficile a questo punto far comprendere che Sativa Torino Expo non è una festa che punta alla promozione delle droghe leggere ma un progetto culturale e divulgativo») perché Salvini non ha mai firmato alcun atto in tal senso. Ancora si attende il ddl che smantelli l'attuale normativa. La sola stretta è arrivata dalla magistratura: le sezioni unite penali della Cassazione il 30 maggio scorso hanno stabilito l'illiceità dei derivati se hanno capacità drogante. Ma non esiste una legge che stabilisca quale sia il parametro da prendere in considerazione: il solo riferimento valido oggi è una circolare del ministero dell’Interno del 2018, che sulla base della legge del 2016, utilizza il discrimine dello 0,5% di Thc.

LA BATTAGLIA CONTRO L'OBBLIGO VACCINALE E PER IL GREMBIULE

Economist sulla battaglia contro obbligo vaccinale di SalviniLe promesse del ministro dell'Interno hanno spesso violato le competenze dirette di altri membri del governo. «Cancelleremo la Lorenzin. Vaccini sì, obbligo no», prometteva per esempio il 10 gennaio 2018. A oggi, però, dopo una lunga querelle con il ministro della Salute, Giulia Grillo, l'unico obbligo della legge Lorenzin a essere caduto è quello per i genitori di presentare entro il 10 luglio le certificazioni, ma solo perché è attiva l'anagrafe vaccinale. Rimasto inalterato invece l'obbligo di vaccinazione almeno fino al varo dell'obbligo flessibile. In un'altra occasione, Salvini aveva invece detto di volere il ritorno del grembiule: «Sento già chi evocherà il duce, ma un Paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina». All'alba di un nuovo anno scolastico, nulla è stato legiferato.

I DECRETI SICUREZZA E LA COSTITUZIONE

Anche i decreti Sicurezza, tra i pochi atti che Salvini ha realmente concretizzato, potrebbero presto svanire, se saranno smantellati dalla magistratura come già accadde con quelli della Lega di Bossi varati ai tempi dei governi Berlusconi. Le criticità non si contano. Per esempio, la possibilità di revocare la cittadinanza in caso di reato commesso dall'extracomunitario costituirebbe una palese violazione dell'art. 3 della Costituzione sull'uguaglianza di tutti i cittadini (in caso di reato commesso da italiano, non si procede alla revoca della cittadinanza). Quanto alla politica dei "porti chiusi", rafforzata dalle disposizioni del Sicurezza-bis, si ricorda la lettera dell'Onu del 15 maggio 2019 che ha ribadito come l'Italia stia violando le Convenzioni UnclosSolas e Sar sul diritto internazionale del mare e il principio del non-respingimentodella Convenzione di Ginevra. Ma in discussione sarebbe la legittimità degli stessi decreti: l'articolo 77 della Costituzione ammette infatti che il governo legiferi «in casi straordinari di necessità e di urgenza». Ma se lo stesso Salvini, nel presentare il decreto Sicurezza-bis ha più volte ribadito il drastico calo degli sbarchi da quando è al governo, sembrano non sussistere i caratteri imposti dalla Carta a tutela dell'attività del parlamento. Insomma, il più delle volte, Salvini "abbaia ma non morde" mentre i suoi decreti, dopo l'intervento della magistratura e della Cedu, potrebbero persino rimanere senza denti.

Articolo di Carlo Terzano per Lettera43 

 

 

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