Le ampolle sacre con l'acqua del Po. Il matrimonio celtico di Calderoli. Alberto da Giussano forse mai esistito. Lapidi col dubbio della contraffazione. Da Bossi a Salvini, come si è evoluto l'appuntamento bergamasco dell'orgoglio padano che torna il 15 settembre. Ben prima che rosari, crocifissi e madonnine prendessero piede nelle dissacranti ostensioni elettorali di Matteo Salvini, i leghisti delle origini consacravano la loro battaglia politica a ben altre divinità che nulla avevano a che fare con le radici cattoliche del nostro Paese. Su ampolle sacre prelevate dal Po, druidi e rievocazioni storiche parecchio romanzate – se non inventate di sana pianta – Umberto Bossi ha costruito il suo, folkloristico, partito. Ed è stato così almeno fino alla fatidica “notte delle scope” del 2012, quando, oltre al cerchio magico, sono state ramazzate tutte quelle note di colore che hanno anticipato la dismissione del “Nord” dal simbolo e il cambio cromatico del partito da verde a blu.
Sono cambiati i leader (da Bossi a Salvini con la breve apparizione di Roberto Maroni), è cambiato persino il pantheon di riferimento, ma la marcia su Pontida è comunque rimasta nel calendario delle festività della Lega. Anzi, nel 2019 il partito acciaccato dalle giravolte agostane di Salvini prova a ripartire in grande stile proprio dal pratone della Bergamasca («Tèra de Berghem») promettendo numeri da record. È l’occasione per testare non solo se l’ex titolare del Viminale ha mantenuto la sua capacità attrattiva, ma anche per monitorare gli umori di quel Nord profondo, schietto e risoluto con il quale Pontida ha sempre rappresentato una sorta di cordone ombelicale.
ORIGINI: TUTTO NACQUE CONTRO “IL BARBAROSSA”
Perché i leghisti hanno scelto proprio quel manto erboso per la loro festa più importante? Bisogna tornare indietro di diversi secoli, al 1167, quando nacque la “lega lombarda” tra cinque Comuni del Nord Italia contro l’imperatore Federico I detto “il Barbarossa”. E qui storia e mito si fondono con il folklore padano tessuto da Bossi ma, soprattutto, da Gianfranco Miglio, il costituzionalista comasco che pensò di scardinare la Costituzione, il democristiano che parlava come avrebbero parlato prima i leghisti e, oggi, i cinque stelle. Perché non si sa nemmeno se il giuramento di Pontida sia avvenuto realmente. Qualche tempo fa, sul Corriere, Dino Messina ricordava che la sola prova rinvenuta in quell’area, una lapide con l’incisione: “Federatio longobarda pontide, sub. Ausp. Alexandri III P.M. die VII aprilis MCLXVII Monaci Posuere” fosse in realtà una contraffazione. A insospettire gli studiosi proprio il termine “federatio” che, per i latinisti, non era nelle corde dello spirito dell’epoca.
SIMBOLI: GUERRIERO CON LA SPADA E SOLE DELLE ALPI
Ma gli storici nutrono più di un interrogativo anche sull’esistenza dello stesso Alberto da Giussano, il condottiero stilizzato che per decadi è stato simbolo della Lega di Bossi (riposto poi in soffitta da Salvini assieme al “sole delle Alpi”, anche se in periodi più recenti l’attuale segretario del partito è tornato a indossare la spilletta che lo ritrae con quel suo spadone alzato). Secondo il folkore leghista, questo mitico guerriero padano avrebbe condotto alla vittoria i popoli del Nord nella storica battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 combattuta tra la Lega Lombarda e l’esercito di Federico Barbarossa. Si perde nella leggenda persino il motivo che portò Umberto Bossi, che storico non era, a rifarsi proprio alle gesta di Alberto da Giussano: c’è chi dice lo avesse semplicemente visto riprodotto sulle biciclette di marca “Legnano” inforcate da Gino Bartali. Sul sito del produttore si legge: «Già nel 1915 compare il guerriero, la spada al cielo nella destra, lo scudo nella sinistra, riproduzione del monumento ad Alberto da Giussano eretto a Legnano nel 1900».
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dall'articolo di Carlo Terzano per Lettera43.it