Viaggio tra giardini, uffici, viali maltenuti da un Comune costoso e inefficiente. E ora arrivano gli appalti per il Giubileo. E l’arcangelo Gabrielli creò a sua insaputa il demone Odevaine. Lungo la strada lastricata d’oro che porta al Giubileo di papa Francesco, l’inviato del signore di Palazzo Chigi dovrà stare attento a non sbagliare scudiero un’altra volta: senza il nullaosta del prefetto Franco Gabrielli, firmato quando era capo della Protezione civile e commissario del governo per l’emergenza sbarchi, Luca Odevaine, 59 anni, eminenza della triade di Mafia capitale, non sarebbe diventato il coordinatore da ventimila euro di tangenti al mese. Soldi nostri che gli abbiamo regalato ogni volta che andavamo a fare benzina o gasolio: due euro di accise ogni cinquanta litri, quattro euro ogni due pieni, 728 milioni nel 2011 prelevati dalle nostre tasche così, per la crisi in Nord Africa, 472 milioni nel 2012, più di due miliardi fino a oggi (perché quel balzello continuiamo a pagarlo). E il fidato Odevaine, proprio grazie al nullaosta di Gabrielli, sempre lì in mezzo a spartire il traffico di soldi pubblici tra appalti e ruberie, i fascisti di Massimo Carminati e le cooperative rosse di Salvatore Buzzi. Ecco: l’arcangelo promosso prefetto della Capitale starà più attento questa volta? Ora che dovrà spendere, si dice, cinquecento milioni in quattro mesi e proteggerli dai banditi già in cammino verso l’Anno santo, soltanto Gabrielli sa se riuscirà davvero a soccorrere gli angeli e annientare i demoni.
ANGELI E DEMONI
Sono ovunque. Dai boiardi della politica giù fino all’ultimo ufficio municipale. Questa è la battaglia. Salvare Roma. Oppure perderla ancora. Sono tanti i retroscena da raccontare prima dei prossimi arresti, del Giubileo e la cacciata di questo consiglio comunale. Così tanti che bisogna scegliere un luogo simbolico da dove cominciare. Via Libero Leonardi, Cinecittà Est, due fermate di bus oltre il capolinea della metro. Estrema periferia. Cemento popolare e borghesia impoverita. Parcheggi arroventati dal pomeriggio, tre parchetti di erbacce secche e panchine smontate dalla mancata manutenzione. Qui il signor Dorel Bancila, 57 anni, romeno, aveva raccolto ventidue pigne. Qualche giorno fa il caso finisce davanti alla seconda sezione penale. Proprio così, il tribunale di Roma sta processando Dorel Bancila, incensurato, per furto aggravato di un bene pubblico commesso con violenza sui pini. Cioè l’aver raccolto tra le erbacce o staccato dai rami le ventidue pigne. Dobbiamo ringraziare due vigili urbani per aver denunciato il misfatto, sequestrato il corpo del reato (le pigne) e intasato la magistratura con un ulteriore fascicolo. Chissà se il signor Bancila si è fatto di Roma la stessa idea che Johnny Stecchino aveva delle banane di Palermo: «Devi vedere come è bella la città. E i romani. Proprio si divertono. Giocarelloni. Zuzzurelloni. Proprio gente simpatica, capito. L’unica cosa però, mi dimenticavo: se vai a Roma, non toccare le pigne. Lasciale perdere...».
Il processo è in corso da tre anni. Il furto e la denuncia risalgono a settembre 2012. La triade Odevaine-Carminati-Buzzi si sta già mangiando la città, la manutenzione del verde e un grosso pezzo dell’emergenza immigrati. Sempre in quei giorni l’ex capo dei due vigili, il comandante della polizia municipale di Roma Capitale appena silurato, è sotto inchiesta per corruzione in un’altra storia di mazzette. E ancora oggi i giardinetti di via Libero Leonardi fanno schifo.
Al centro del parco giochi del quartiere, un cubo di cemento contiene la “Casa dei bimbi”. I figli della periferia corrono tra aiuole sterrate e altalene sbilenche. Il quadro elettrico dei lampioni, piazzato chissà perché in mezzo a loro, è sventrato. I cestini e i cespugli sono colmi di rifiuti. Anche la strada, appena oltre il cancello, è disseminata di immondizia. Tutto quanto ricade durante lo svuotamento dei cassonetti resta lì. Gli operai municipalizzati dell’Ama si guardano bene dal raccogliere lo sporco e nessun manager della società viene a controllare. Nessun privilegio. Tutta Roma è ridotta così.
Limitandosi al cartello sul cancello, la “Casa dei bimbi” è una biblioteca comunale per piccoli lettori. Nella realtà è un limes nel deserto delle istituzioni: un avamposto che attraverso i libri e la lettura insegna ai bambini come si possa costruire un mondo migliore. Un progetto portato qui da una dipendente del Comune, Giovanna Scatena, 63 anni, milleduecento euro di stipendio dopo trentadue anni di servizio. L’ultima sorpresa del 2015, duecentotrenta euro al mese in meno: conseguenza del taglio dei premi accessori, dopo che il ministero dell’Economia ha denunciato la distribuzione a pioggia degli incentivi a tutti i ventiquattromila assunti. Compresi i dirigenti, anche se non ne avevano diritto. Compresi i complici di Mafia capitale. Compresi i 14mila euro regalati oltre lo stipendio ad alcuni funzionari per la «partecipazione a un gruppo di lavoro», o i 4.790 versati come bonus per la «partecipazione alla commissione di verifica delle attività da svolgere rispetto agli impegni di spesa». Dipendenti pagati due volte. Un’allegra baldoria costata tra il 2008 e il 2012 poco meno di 345 milioni. I demoni hanno anche volti insospettabili. Tutti d’accordo, ovviamente: i dirigenti, i destinatari del beneficio, i delegati sindacali. Ignazio Marino, il sindaco chirurgo, ha cancellato il premio. Senza fissare gli obiettivi. L’ha tolto a tutti, anche ai meritevoli. Fine della luna di miele. «Nonostante tutto, credo fermamente nell’ente pubblico», dice Giovanna Scatena, «e sono certa che potrebbe funzionare bene con una maggiore responsabilità civica da parte di chi gestisce i fondi: aiutando i bambini a sviluppare quelle potenzialità innate fondamentali per creare una società sana e pacifica. Per questo continuo a pensare che sia possibile diffondere il nostro progetto in altri municipi. Qui mi sento una libera professionista: potremmo non far nulla e nessuno se ne accorgerebbe. Invece facciamo tantissimo. E nessuno se ne accorge». Ma perché i cestini sono pieni di rifiuti? Sorride Giovanna Scatena: «Perché li svuotiamo noi, quando possiamo staccarci dalla biblioteca. Da quattro anni questo parco giochi non ha un appalto delle pulizie. In quattro anni, ci sono stati sei tagli dell’erba...». Interviene una mamma, venuta a restituire un libro: «L’assessore alle Periferie dice che non ha più fondi. Pagavano Mafia capitale e tutta Roma è messa così. Senza fondi. Noi siamo numeri per loro. Non gliene può fregar di meno. Tanto i loro figli mica vengono a scuola qui», s’arrabbia. E rivela di essere pure lei una dipendente del Comune. Marino vi chiede tempo e fiducia. «Marino», risponde, «dice tante che cose che però io ancora non vedo».
Tempi duri stamattina all’assessorato Qualità della vita. Nel grande ingresso l’addetta alle pulizie ha appena lavato per terra. L’appalto non prevede il cavalletto di plastica: «Attenzione pavimento bagnato». Costo del cartello: 8,29 euro su Internet. Forse è troppo, in una città che per anni ha tirato fuori tra i venti e i venticinquemila euro in nero al mese per ogni suo sgherro capitale. L’avviso non c’è. Quando si apre l’ascensore, esce un’impiegata che non può immaginare il pericolo. I sandali leggeri, la suola in cuoio, il piglio deciso. Troppo deciso. Scivola lunga distesa al primo passo sulle piastrelle umide. Incredibile: i colleghi che arrivano poco dopo non l’aiutano ad alzarsi. La guardano sorpresi e le chiedono: «Ma che ci fai lì per terra?». E lei che quasi piange: «Forse mi sono rotta il polso, mi fa male. Insomma, chiamate qualcuno».
Mantenere un assessorato alla Qualità della vita in un Comune che rischia lo scioglimento per mafia fa sorridere. Gli uffici sono in zona Ostiense, via Capitan Bavastro, strada dedicata al leggendario corsaro genovese che duecento anni fa attaccò, tutto solo, la Marina inglese. Genovese e solitario come Ignazio Marino. Sulla scalinata all’ingresso è un viavai di impiegati in pausa sigaretta. Il sindaco deve restare o dimettersi? «Ho votato Marino», risponde una funzionaria sulla cinquantina, con la promessa di non pubblicare il nome: «Speravo che un sindaco non romano portasse una vera riforma dell’amministrazione. Al Comune di Roma se ti dai da fare, ti isolano. Ti fermano. Accanto a dirigenti bravissimi, hanno promosso gente incapace di zappare la terra. Tutti con il loro seguito di amici e leccapiedi. L’incapacità, il servilismo, l’elargizione alimentano la cultura mafiosa. Marino ha chiuso al traffico i Fori imperiali, ha sposato i gay, ha promesso lo stadio alla Roma, ora vuole le Olimpiadi. Bene, ma per quanto riguarda la macchina comunale per me ha drammaticamente fallito». La funzionaria se ne va senza salutare. Sta passando un collega. Nello scambio di sguardi tra angeli veri e sospetti demoni, la libertà di parola è morta da tempo.
OLIMPIADE TRA BUCHI E BALZELLI
Gli italiani, attraverso lo Stato, già nel 2008 hanno salvato Roma dal disastro accollandosi debiti per oltre 15 miliardi. Il beneficio è stato aggirato in appena cinque anni, consegnando a Marino una nuova voragine di 867 milioni. È per questo che ogni turista che fa pipì in un gabinetto comunale adesso paga un euro. Più sei euro di tassa di soggiorno per ciascuna notte in città. Più un euro di tassa di imbarco in aeroporto. Sette giorni di vacanza costano a una famiglia di quattro persone duecento euro in balzelli, soltanto per tamponare i buchi di Mafia capitale. Vittorio Orsola, 65 anni, 800 euro di stipendio, custode ed esattore di monete al vespasiano comunale nel parco di Villa Celimontana, non nasconde il suo disappunto: «Marino se ne deve andare. Di corsa. Non si può pagare un euro per fare una pisciata», spiega in rigoroso romanesco: «Ma non solo quello. Qui dentro ci stanno i giardinieri comunali che non lavorano. Il settore giardini i ragazzi ce li ha, però gli fa fare cose che non servono a niente. Qui dentro che fa il giardinaggio è una ditta privata». Orsola, un tempo elettore del Pci e ora CinqueStelle, lavora per la “Roma Multiservizi”: 51 per cento dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, e 49 suddiviso tra “Manutencoop” e “La Veneta servizi”. Contratti frutto di un appalto da 148 milioni, sottratto alla ditta vincitrice e assegnato alla “Multiservizi” da un direttore di dipartimento: «L’esclusione del soggetto con il punteggio più elevato contribuisce a definire un quadro non del tutto lineare», scrivono in burocratese gli ispettori del ministero dell’Economia che, su richiesta di Marino, hanno esaminato i contratti. Il segnale di nuove bufere è forte e chiaro.
«La gente è così arrabbiata con Marino perché ci aveva creduto. Nemmeno noi siamo più sicuri che sia l’uomo giusto», dice Natale Di Cola, segretario per Roma e Lazio della Cgil-Funzione pubblica. La commissione di garanzia del Pd, quella dove si sedeva Michele Nacamulli, riceveva da due anni le denunce sui circoli infiltrati. E puntualmente le dimenticava nei cassetti. Il presidente del consiglio del terzo municipio, Riccardo Corbucci, ha pagato personalmente la sua battaglia per far pulizia nel partito. Quattro mesi dopo l’elezione di Marino, durante una riunione è stato aggredito da uno dei sostenitori di Mirko Coratti, presidente Pd dell’assemblea capitolina. Coratti è l’arrestato numero diciotto nell’ultima retata di Mafia capitale. Nacamulli il numero trentaquattro.
Sembra Solferino all’indomani della famosa battaglia. In questo clima il sindaco genovese è convinto di poter accompagnare la capitale al Giubileo. E poi addirittura all’abbuffata di appalti delle Olimpiadi. Non ha fatto i conti con il sesto comandamento: “Non commettere atti impuri”. Che nel Decalogo viene prima del settimo: “Non rubare”. Marino, comunque apprezzato per non essere un ladro, ha sposato coppie gay. Un’idea del diavolo, secondo la nomenclatura vaticana che a Roma sempre conta. Meglio il prefetto della città promosso dal premier. L’arcangelo Gabrielli, appunto. Quando era prefetto del terremoto all’Aquila, non ha mai fatto ombra a Guido Bertolaso né all’allora maggiordomo del papa, Angelo Balducci, oggi imputati per lo scandalo su appalti per centinaia di milioni. Certo, da commissario del governo per l’emergenza sbarchi, al super prefetto sfugge che il demone Odevaine un angioletto proprio non è. Mercoledì 13 luglio 2011: «Protocollo entrata 3127: richiesta di parere per incarico di coordinamento a Odevaine». Da ex poliziotto, ex capo dei servizi segreti e dirigente dello Stato a 364mila euro di stipendio, Gabrielli ha il potere di rispondere no. Potrebbe selezionare il coordinatore per i rapporti con il centro rifugiati di Mineo, in Sicilia, tra le decine di direttori di prima fascia già pagati e senza mansione: professionisti che a palazzo Chigi per 160 mila euro l’anno passano le giornate a girarsi i pollici. Invece viene autorizzato l’ennesimo incarico esterno, fuori da qualunque forma aggiuntiva di controllo. Ci sono da maneggiare decine e decine di milioni raccolti grazie alle nuove accise su benzina e gasolio. L’inconsapevole via libera al jackpot di Mafia capitale viene annunciato con due righe. È il 19 luglio 2011: «Nota protocollo 3139 del commissario delegato: nullaosta per l’incarico di coordinamento a Odevaine».
I Mondiali di nuoto, il G8 alla Maddalena, L’Aquila ancora in macerie, l’assistenza ai profughi: ogni evento, una ruberia. Un curriculum curioso per presentarsi alle Olimpiadi. Il giorno del voto in consiglio comunale sulla candidatura ai Giochi 2024, la sceneggiatura cambia. Il consigliere Ncd, Andrea Augello, annuncia un dossier sui dirigenti in odore di mafia nominati dal sindaco. Marino dovrebbe denunciarlo. Invece, come richiesto, si rimangia l’insulto sulla «destra nelle fogne». Mentre il capogruppo del sindaco, Fabrizio Panecaldo, stringe calorosamente la mano all’indagato per mafia Gianni Alemanno davanti a tutti. E molti consiglieri Pd applaudono. Un inchino da capogiro. Nel romanzo capitale che devasta Roma, il nuovo capitolo è appena cominciato.