L'attore e regista italiano indignato parla della sua città: "Come la prima scena del film di Fellini con l'ingorgo sul Gra. Siamo rimasti a quella scena. Lì almeno c’era la poesia, ora non resta che il degrado". “La doppia fila? Sarebbe già un vanto, a Roma come minimo le macchine stanno parcheggiate in terza. Ci ricordiamo del Colosseo solo quando cade un pezzo. Vai a Campo de’ Fiori e sei costretto a muoverti su un tappeto di vetro. Roma muore soffocata dai tavolini, dalle bottiglie, dagli spray colorati sulle facciate dei monumenti”. È un Carlo Verdone indignato, addolorato quello che parla di Roma, della sua Roma, scelta tante volte come set per i suoi film. È un fiume in piena di rabbia perché, giorno dopo giorno, vede la città che è tra le più importanti del mondo inghiottita dal degrado.
È una Roma, quella di oggi, che non riconosce più?
«La descrizione calzante è quella della prima immagine del film “Roma”, di Federico Fellini con quell’immenso ingorgo sul Grande raccordo anulare. Siamo rimasti a quella scena anche nel 2012. Lì almeno c’era la poesia, adesso non resta che il degrado».
Sembra un appello accorato a salvare la città dall’incuria…
«Roma è tutto per me, ci sono nato e ci morirò. La sua poesia, i suoi abitanti, quella comicità involontaria mi hanno formato come artista. Ora che sto per lavoro da tre mesi Torino, mi sono accorto più che mai delle differenze».
Un esempio?
«C’ero stato nel 1978 per cinque mesi, era una città triste. Eppure si è ristrutturata, si è ricreata. Insomma funziona. È stato realizzato un sistema di parcheggi che ha cancellato la doppia fila. E allora il mio pensiero non può che andare a Roma».
Dove, invece, la doppia fila è regola.
«La doppia? Ma magari, famo pure la tripla ormai».
Quali sono le differenza rispetto ad altre città?
«Ha mai visto in altre città il caos che c’è a Roma? La gente è depressa, non si diverte. I giovani bevono e lasciano migliaia di bottiglie a terra. È una movida sterile. Se vai a Campo de’ Fiori, al Pantheon o a piazza Navona non trovi un residente che non si lamenti del rumore, delle risse, del caos. La gente scappa».
Proprio i residenti del centro storico le hanno scritto una lettera perché sostengono le sue stesse idee e per chiederle di scendere in piazza con loro per dire basta al degrado…
«Questo testimonia che non ci si può non accorgere del grido di dolore che tutti insieme stiamo lanciando. Non ama le regole Roma. Nessuno è stato educato a rispettarle. Se po’ fa tutto: se hanno una licenza per dieci tavolini, ne mettono venti».
Quali sono, secondo lei, i problemi più evidenti di questa città?
«I monumenti andrebbero valorizzati, invece ci delle bellezze archeologiche solo quando vanno in rovina. Roma va avanti ancora con gli spray: non voglio fare il vecchio, ma a New York non vanno più di moda da anni. Si parla solo di centri commerciali, ma delle sale cinematografiche che sono scomparse dal centro storico non si dice più nulla. O, meglio, se ne parla solo quando vengono riconvertite in grandi magazzini. Quei cinema erano un riferimento pure per gli anziani, che secondo lei vanno ai multiplex che sono tutti in periferia? Così la cultura viene tagliata fuori».
La maggior parte delle volte ha scelto Roma come set dei suoi film, continuerà a farlo?
«Non sa quanto è difficile girare a Roma. La gente ci odia, è esasperata perché occupiamo posti auto. Non c’è colonna sonora perché passano sempre gli elicotteri delle manifestazioni. La amo troppo questa città e comunque continuerò a sceglierla».
Un modo per farla tornare vitale, però, ci sarà?
«Se il professore è mediocre, i cittadini non hanno stimoli. Servono regole dure, si perderanno pure voti e popolarità, ma si dà l’esempio e si lascia il nome impresso nella storia di Roma che oggi è una città grande, ma non una grande città. Spero torni presto ad esserlo perché è solo l’ombra di un glorioso passato».
Articolo di LAURA SERLONI per roma.Repubblica.it (31 maggio 2012)