test sierologici 2 tipiTutti la ricorderanno perché ha segnato l’inizio della Fase 2, ma la data del 4 maggio nella storia dell’emergenza Coronavirus è importante anche perché è il giorno in cui test sierologici sono arrivati in un campione di laboratori scelto da Istat e Inail che deve verificare (gratuitamente, cioè paga lo Stato) se 150mila italiani sono venuti in contatto con il virus e hanno sviluppato l’immunità. Non solo: intanto le Regioni hanno comprato un totale di quattro milioni di test con lo stesso obiettivo. Per chi produce e vende gli esami si annunciano buoni affari, visto che un kit può costare, a seconda delle tipologie, tra 4 e 7 euro alle Regioni e tra 25 e 50 ai privati cittadini. C’è un un problema, però: i test sierologici non sono per niente in grado di dare le cosiddette patenti di immunità. Ovvero di poter dire con certezza che chi li ha fatti è immune a SARS-CoV-2. 

test sierologici 1 image Cosa sono i test sierologici e quanto ci vogliono mangiare.  Partiamo dall’inizio. Gli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi non sostituiscono il test del tampone, il cui scopo è stabilire se una persona ha il virus in quel momento (pur con margini di errore) e viene eseguito cercando il suo RNA nelle cellule e secrezioni del naso o della gola. I cosiddetti test sierologici invece si effettuano sul sangue e servono a stabilire se una persona ha fabbricato anticorpi contro il virus SARS-CoV-2, nel qual caso significa che è venuto in contatto con esso in un passato più o meno recente. Gli anticorpi che si vanno a cercare sono essenzialmente di due tipi: IgM (Immunoglobuline M) e IgG (Immunoglobuline G). Le IgM vengono prodotte per prime in ordine di tempo dopo che è avvenuta l’infezione, le IgG successivamente.

La Repubblica ha ricordato che sono ben 72 le aziende che si sono presentate al bando del commissario straordinario Arcuri per l’acquisto dei 150 mila esami per lo studio nazionale. La gara è stata vinta dalla statunitense Abbott che ha deciso di regalare i test e ha poi subito annunciato di averne a disposizione altri 4 milioni per l’Italia, ma a pagamento. Poi ci sono le Regioni. La Lombardia comprerà 500 mila test dalla Diasorin, che ha sviluppato il suo test in collaborazione con il San Matteo di Pavia. La Toscana ne prenderà altrettanti da un’azienda senese, la Diesse. L’Emilia prevede di usarne intanto 300 mila e deve ancora decidere dove acquistarli, così come il Lazio, che ha chiuso la gara. La Campania, infine, ha detto di voler acquistare 350 mila nuovi test. In tutto saranno ampiamente superati i 2 milioni di kit. Nelle gare pubbliche spuntano prezzi tra i 4 e i 12 euro. E il punto è tutto qui: «La domanda è: sono veramente interessati all’affidabilità del test o piuttosto a quanto ci si possa guadagnare? Perché mi sembra che si faccia la gara a chi prenda la fetta più grossa della torta», dice Giuseppe Cardillo, chimico e con dottorato di ricerca in scienze biotecnologiche conseguito all’università Federico II di Napoli, con oltre 20 anni di esperienza nel settore della biochimica clinica e della biologia molecolare clinica.

Un singolo test sierologico non serve niente, tanti quanto costano?

Perché, a differenza di quello che circola nelle discussioni della politica riguardo i test sierologici, forse a chi governa regioni e amministra ministeri non è chiaro che non si potrà fare un test con una goccia di sangue in cinque minutiricevere il proprio tesserino di sano come un pesce e finirla lì: «Il nuovo coronavirus prima di stimolare la risposta immunitaria ci mette qualche giorno. Nel caso di SARS-CoV-2 la prima risposta sulle IgM si ha dopo almeno 7-9 giorni. Questo significa che se mi infetto e faccio il test prima di quel tempo, il test è negativo. Se, invece, ho solo le IgM sono sicuramente ancora infettivo. Quindi la procedura minima dovrebbe essere quella di fare il test e poi ripeterlo dopo dieci giorni. Non solo: uno studio pubblicato su Nature ci dice che tutti gli infetti hanno una risposta immunitaria, quindi adesso sappiamo che tutti producono le IgG, che si formano dopo quindici giorni. Ma un test positivo non mi dice se il soggetto si è infettato 15 giorni fa o 60 giorni fa. Quindi dopo le IgG dovrei fare i tamponi di controllo. La risposta immunologica non ha niente a che vedere con la contagiosità. Mi meraviglio che nessuno di chi propone un “salvacondotto” immunologico abbia valutato questo aspetto», spiega Cardillo. E non finisce qui: «Con questo stramaledetto virus, l’85% degli infetti è asintomatico, non sa nemmeno di avercelo. A complicare le cose, uno studio di Lancet ci avvisa che circa un quarto dei pazienti sviluppa le IgG prima delle IgM, probabilmente perché il sistema immunitario si “ricorda” di uno dei 4 coronavirus che normalmente ci provocano le sindromi para-influenzali. Poi c’è il problema della localizzazione: nella prima fase della malattia il virus si trova nel cavo orofaringeo, successivamente trasloca nei polmoni. Posso essere malato ed avere tampone negativo. Diversi malati in terapia intensiva sono rimasti negativi anche per 3 tamponi consecutivi perché il virus era annidato profondamente nei bronchi. Come faccio ad avere un golden standard? Una idea proposta è quella di utilizzare il tampone rettale, visto che la gente espelle il virus anche nei 40 giorni successivi alla guarigione».

..........................

dall'articolo di   per NextQuotidiano.it 

You have no rights to post comments