Non sono stati mesi semplici per WhatsApp quelli che hanno aperto il 2021. Il popolare servizio di messaggistica istantanea è stato infatti travolto da un polverone senza precedenti in merito alla protezione dei dati personali che offre ai suoi oltre due miliardi di utenti globali. Tutta «colpa» delle nuove condizioni d’uso, la cui entrata in vigore era stata annunciata in un primo momento per l’8 febbraio per poi essere posticipata al 15 maggio. Tempo di fornire i necessari chiarimenti alle autorità e di informare con maggior chiarezza gli utenti sulle novità in arrivo, anche tramite la sezione «Stato». Al netto del conseguente boom di app concorrenti quali Telegram e Signal, tuttavia, in molti potrebbero (legittimamente) pretendere un quadro della situazione più approfondito. Come noto, d’altronde, il Gdpr europeo parla chiaro: è obbligo di qualsiasi piattaforma consentire agli utenti pieno accesso alle informazioni che li riguardano.
La procedura
Scoprire cosa WhatsApp sa di noi è dunque questione di pochi tap sullo schermo: basta seguire il percorso «Impostazioni» > «Account» > «Richiedi informazioni sull’account» e infine selezionare «Richiedi rapporto». Come riportano le Faq, ciò consentirà di «richiedere ed esportare un resoconto delle informazioni e impostazioni del tuo account WhatsApp», che comunque non includerà i messaggi scambiati con i contatti (per i quali è prevista la funzione «Esporta chat»). Il documento verrà recapitato dopo circa tre giorni, e in ogni caso entro la data riportata accanto all’indicazione «Pronto entro il giorno». Ad avvisare dell’avvenuto invio sarà un’apposita notifica: «Il rapporto con le informazioni del tuo account è ora disponibile». A quel punto si potrà tornare su «Richiedi informazioni sull’account» e scaricare l’agognata cartella zippata nel giro di «alcune settimane».
Quali dati si ricevono?
Due i tipi di file inclusi al suo interno: Html, da aprire e consultare con un normale browser, e Json, per trasferire le informazioni verso altri servizi. Nello specifico, i dati ottenuti saranno di diversa natura: la data e l’ora in cui è stato richiesto il rapporto, quelle in cui ci si è registrati per la prima volta sull’app e sono stati accettati i termini del servizio, il nome utente, la foto profilo, l’indirizzo Ip, il sistema operativo e la versione dell’app installata, il modello del dispositivo, i numeri dei propri contatti in rubrica (inclusi quelli bloccati), i gruppi di cui si è membri, l’eventuale attivazione delle spunte blu e altre informazioni legate alla privacy come, per esempio, chi può vedere lo Stato. Decisamente un bel «malloppo». Ma come essere certi, poi, che WhatsApp abbia completamente vuotato il sacco? Occorre fidarsi. D’altra parte non fornire tutte le informazioni costituirebbe una grave violazione della norma. Ad ogni modo, a garantire agli utenti elevati standard di privacy sulla piattaforma è in primis la crittografia end-to-end, introdotta nel 2016, che rende inaccessibile il contenuto delle chat a chiunque non ne faccia parte, compresa la stessa piattaforma. Chi invece temesse che WhatsApp possa incrociare i dati con Facebook a scopi pubblicitari può tirare un sospiro di sollievo: da questo punto di vista, già a gennaio lo staff della piattaforma ha rassicurato che le nuove condizioni d’uso non comporteranno modifiche in merito sul territorio europeo. Almeno per il momento.
Articolo di Corriere.it