E quindi, con un certo stupore, scopriamo che l’istituzione della zona rossa nella Bergamasca avrebbe dovuto essere “una decisione governativa”. Lo ha detto il procuratore capo Maria Cristina Rota ai microfoni del Tg3, e già viene da chiedersi perché il procuratore capo che sta indagando, anziché accertare i fatti senza condividere le prime considerazioni con la stampa, rilasci simili dichiarazioni proprio alla stampa. Aggiungendo poi: “Si tratta di indagini lunghe e complesse che richiederanno tempo”. Se si tratta di indagini lunghe e complesse come mai si è già giunti alla conclusione che era una decisione governativa? Fortuna che sono indagini lunghe e complesse. Fossero state brevi, saremmo già alla sentenza. Inoltre, è vero che l’istituzione delle zone rosse nella prima fase dell’emergenza spettava al Governo? No. Secondo il ricercatore di diritto amministrativo dell’Università di Milano Stefano D’Ancona “è in capo al Ministero della Salute, al presidente della giunta regionale e al sindaco, la competenza ad adottare ordinanze urgenti tramite ordinanze libere in materia di igiene e sanità pubblica. (art.32 c.3, L.833/78)”.
Se poi l’emergenza sanitaria può riguardare il paese intero e dunque sconfinare in altre regioni, può intervenire il Governo, ma in sostanza rimane invariata la possibilità delle regioni di istituire autonomamente “zone a contenimento speciale”.
E in effetti il Governo, nel suo decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020, ha determinato il potere di istituire zone a regime speciale (cosa che per esempio ha fatto con Vo’ e Codogno). Tale decreto legge però, non negava né limitava la possibilità sia per le regioni che addirittura per i singoli comuni di istituire delle zone rosse o arancioni. Quindi, la Regione Lombardia poteva prendere decisioni autonome sulla chiusura di Alzano e di altri comuni, senza attendere necessariamente le decisioni del governo. E ciò in qualunque momento.
A dimostrazione dell’indipendenza delle regioni sulle decisioni inerenti le chiusure di zone considerate focolai, si ricorda che nei mesi di marzo e aprile 2020 in Italia sono state istituite ben 117 zone rosse e arancioni. E a parte Vo’ e la zona di Codogno, le chiusure sono state predisposte tutte tramite ordinanze regionali. Già il 15 marzo, per dire, in Campania Vincenzo De Luca ha chiuso Ariano Irpino aggiungendo poi Saviano e Paolisi. Tra marzo e aprile il governatore della regione Abruzzo Marsilio ha chiuso ben 12 comuni (Arsita, Bisenti, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, Montefino, Civitella Casanova, Elice, Farindola, Montebello di Bertona, Penne, Picciano, Contrada Villa Caldari di Ortona).
Cinque i comuni diventati zona rossa in Molise, 4 in Sicilia, 5 nel Lazio, 4 in Basilicata, ben 11 in Calabria (Oriolo, Torano, San Lucido, Melito Porto Salvo, Montebello Jonico, Cutro , Rogliano, Bocchigliero, Serra San Bruno, Fabrizia, Chiaravalle Centrale), una in Umbria (Giove. Discorso a parte poi lo merita l’Emilia Romagna in cui sono state istituite 70 zone arancioni (le province di Rimini e Piacenza con i loro comuni e frazioni) e un’unica zona rossa (Medicina, con la frazione di Ganzanigo).
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dall'articolo di Selvaggia Lucarelli per TPI.it