A un anno dalle elezioni M5s progetta il "sacrificio" della Raggi, nel Pd c'è un silenzio assordante e Salvini-Meloni giocano a chi si sfila prima. Il villaggio romano un centro non ce l'ha più. Che ne sarà di Roma, ci si potrebbe chiedere parafrasando un film generazionale così così della ditta Veronesi-Muccino jr. che però ha lasciato il segno nella cultura popolare. La risposta sarebbe, per citare invece uno che il segno lo ha lasciato indiscutibilmente, un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma. Chissà cosa avrebbe detto Winston Churchill a leggere le due interviste rilasciate in batteria da Massimo Ghini. La prima mi è arrivata su whatsapp da un’amica, il titolo recitava “Pronto a candidarmi sindaco di Roma”, ovviamente accompagnato dal “se serve”, corollario indispensabile per tutte le autocandidature (Gallera, Bonaccini: remember?) e dal commento della succitata amica: “Io lo voto”.
Scherzava o forse no la mia amica, scherzava o quasi Ghini, che oggi consegna in un colloquio con Repubblica la più classica delle puntualizzazioni (Gallera, Bonaccini: remember?) in cui spiega che “La mia era una provocazione”, che lui “ha voglia di vivere” e che a Roma “serve uno come Petroselli”. Ci perdonerà per la licenza ironica, Ghini, la cui storia di impegno politico prima in Campidoglio con Francesco Rutelli poi da leader del sindacato degli attori non è una burletta, e che però non ci sembra nemmeno il centro del villaggio a un anno dalle elezioni per il nuovo sindaco.
Non è una sua colpa, è proprio che il villaggio romano un centro non sembra averlo. Ha provato Paolo Ferrara a riportare il dibattito sulla terra e a inquadrare la discussione sul futuro della capitale nella giusta prospettiva. Il consigliere comunale 5 stelle, forte della laurea all’università della vita conferitagli da 4 anni di consiliatura capitolina, ha preso la specializzazione in agiografia di Virginia, e ha iniziato a sostenere le proprie tesi con sobrietà: impedire alla Raggi il secondo mandato sarebbe come se “Giulio II avesse impedito a Michelangelo di completare la cappella Sistina”, e che comunque la sindaca “ha fatto più strade degli antichi romani”. Cosa le abbia fatte a fare poi non si capisce bene, visto che già due anni fa Beppe Grillo girando per il centro aveva constatato che “qui non ci sono buche”.
“Pijamose Roma” diceva convinto il Libanese in una fortunata battuta di Romanzo criminale che è diventata un meme, e che politicamente è rimasta tale, visto che nessuno sembra fare sul serio per afferrarla. Il Movimento 5 stelle invia la Raggi prima da Di Maio alla Farnesina, poi ci regala una foto di serenità domestica con Di Battista, compagna e bimbo. La vuole ricandidare, perché sa che la battaglia è persa, ed è un’ottima pedina da sacrificare sull’altare della modifica del limite dei due mandati, assicurazione di futuro politico per il gotha pentastellato. Zingaretti vede in questa mossa una specie di minaccia, mentre il Pd vagheggia di un’alleanza organica per battere le destre senza saper bene cosa proporre né chi candidare. Un Ghini formidabile la sintetizza così: “A sinistra c’è un silenzio assordante. Alcuni eccellono in pretattica , perché è meglio non bruciare i nomi più promettenti. Ma chi voi brucià? E’ già tutto bruciato”.
A proposito di falò, a destra è tutto un balletto. Salvini attacca la prima cittadina un giorno sì e l’altro pure avendone individuato il (uno dei tanti) ventre molle dei 5 stelle, vuole pigliarsi Roma ma forse boh, forse la vuole lasciare a Fratelli d’Italia per farli contenti e incassare altrove, magari alle urne delle politiche che forse arrivano ma più probabilmente no, in un gioco dell’oca eterno che parte dalla ridotta espugnata della Garbatella in cui la Meloni si librò sui palcoscenici nazionali e dopo lustri e lustri arriva sul Campidoglio, una manciata di chilometri di distanza. Ma anche lei la vorrebbe Roma, ma meglio anche no, perché con il partito al 14% che fai, non provi a fare il ministro? e quindi si parla tanto del fidato braccio destro Rampelli, che a sentire il dibattito nella destra-destra non è più poi così fidato e forse nemmeno più braccio della leader, pur rimanendo sicuramente destro.
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