Chi ha il potere/dovere di istituire le cosiddette zone rosse, sino alla limitazione di ben cinque libertà costituzionali (personale, di circolazione e soggiorno, riunione e culto), come avvenuto per l’emergenza Covid-19, che ha visto milioni di persone di fatto confinate agli arresti domiciliari? Perché De Luca non poteva dare direttive ai prefetti per l’attuazione delle sue ordinanze contingibili e urgenti per motivi sanitari e Bonaccini non poteva istituire zone rosse senza il placet del Governo? Conte, Lamorgese e Fontana si sono confrontati in modo adeguato o le zone rosse di Alzano e Nembro sono “saltate” per difetto di coordinamento tra di loro, causando migliaia di contagi e morti anche in altre aree del territorio nazionale? Si poteva evitare la fuga notturna dal Nord e il conseguente contagio al Sud o anche in quel caso non c’è stato coordinamento con default comunicativo e poco leali “fughe” di bozze di decreti, che invece avrebbero dovuto rimanere riservati e pubblicati solo una volta attuati i relativi servizi di chiusura per la tutela dell’ordine pubblico?
Chi ha il potere/dovere di mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo in caso di compressione di libertà costituzionali, morti massificate e potenziali rischi di contaminazione su tutto il territorio nazionale, il presidente di una Regione o il presidente del Consiglio che può coordinare tutti gli enti locali e sostituirsi ad essi se inerti, in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica?
L’Italia è la patria del diritto romano e della scienza politica di Machiavelli, che hanno fatto scuola e sono ancora citati in tutto il mondo per la loro insuperabile chiarezza. Ma ogni volta che succede qualcosa di grave le nostre istituzioni sembrano perdere il lume e, non riuscendo a giustificare l’inadeguatezza o devianza delle loro azioni, si scatenano in una tanto feroce quanto fumosa caccia al responsabile – o capro espiatorio -, che normalmente si riduce all’italico sport dello scaricabarile. In cui spesso a rimetterci è l’ultima ruota del carro, tra un groviglio di competenze statali, regionali, provinciali, metropolitane, comunali, montane e isolane e un polverone di norme, decreti e ordinanze, sempre più simili alle ‘grida’ di manzoniana memoria emanate durante la peste a Milano.
Zone rosse: il rapporto Stato-Regioni
In effetti l’emergenza sanitaria Covid-19 si è innestata su un sistema che, seppur complesso, almeno sulla carta è molto chiaro, anche perché si basa su diritti fondamentali dei cittadini e doveri inderogabili delle istituzioni, così come sanciti dalla nostra Costituzione, che in gran parte già risponde seppur in nuce ai quesiti in premessa. Definendo la Repubblica come “una e indivisibile”, che “riconosce e promuove le autonomie locali” ed “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo” (art.5); attribuendo al presidente del Consiglio la responsabilità per il mantenimento dell’“unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri” (art.95); allo Stato la “legislazione esclusiva” in materia di “ordine pubblico e sicurezza” e alle Regioni la “legislazione concorrente” in materia di “tutela della salute” (art.117); mentre il “Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni” in caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” nonché per la “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” nel rispetto dei principi di “sussidiarietà” e “leale collaborazione” (art.120).
La stessa Costituzione sancisce anche i requisiti tassativi per cui possono essere limitate libertà fondamentali come quella personale, definita “inviolabile” e come tale comprimibile solo “in casi di necessità ed urgenza” e con “provvedimenti provvisori” dell’“autorità di pubblica sicurezza” (art.13); così come quella di circolazione e soggiorno “in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza” (art.16), nonché quella di riunione che può essere vietata solo per “comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica” (art.17) o di culto “purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (art.19).
I suddetti principi costituzionali sono confermati innanzitutto nella legge 833/1978 istitutiva del “Servizio sanitario nazionale” (NB: non regionale) per la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art.1), con la “funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni” in capo al “Consiglio dei ministri” che “in caso di persistente inattività degli organi regionali nell’esercizio delle funzioni delegate (…) dispone il compimento degli atti relativi in sostituzione dell’amministrazione regionale” (art.5); attribuendo al ministro della Sanità, al presidente della Regione o al sindaco la potestà di emettere “ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria (…) fatti salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell’ordine pubblico” (art.32).
La norma primaria per la tutela dell’ordine pubblico è la legge 121/1981 sul “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, che individua le Autorità di P.S. come organi dello Stato, definendole “nazionale” (ministro dell’Interno) (art.1), “provinciale” (Prefetto) (art.13), “locale” (questore del Comune capoluogo di provincia, funzionari preposti ai commissariati di polizia aventi competenza negli altri comuni e sindaco come ufficiale di Governo nei comuni privi di commissariato). Non prevedendo quindi né un ruolo per i presidenti di Regione né una vera e propria autorità regionale di P.S., bensì un mero raccordo interistituzionale tramite il prefetto del capoluogo di Regione per assicurare, in particolare, “il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione” e “l’esecuzione di provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione” (art.10 – legge 131/2003 – Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – cd Riforma del Titolo V della Costituzione).
Zone rosse: cosa dice la legge
Le ordinanze contingibili e urgenti per la tutela dell’ordine e la sicurezza pubblica possono essere emanate solo dal prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica” (art.2 – regio decreto 773/1931 – Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), talvolta dal sindaco, ma come ufficiale di Governo e non come rappresentante della Comunità locale e, in caso di sua inerzia, in via sostitutiva sempre dal prefetto “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana” (art.54 – decreto legislativo 267/2000 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli locali). Non anche dai presidenti di Regione, che non hanno alcuna competenza in materia di ordine e sicurezza pubblica e che non potrebbero emanare autonomamente ordinanze simili, anche perché per la loro attuazione avrebbero comunque bisogno delle forze dell’ordine e delle forze armate, che invece dipendono dal Governo.
Al di là dello stile a volte ampolloso del linguaggio tecnico-giuridico, sembra tutto molto chiaro. Ma allora perché sono mesi che assistiamo a un reciproco scaricabarile a carattere di stallo tra Stato e Regioni? Il vulnus sembra rintracciabile nel decreto-legge n.6 del 23 febbraio 2020, contenente Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, che ha attribuito alle “autorità competenti” il potere-dovere di “adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”, anche tramite l’istituzione delle cosiddette zone rosse implicanti la limitazione di libertà costituzionali, apparentemente estendendolo in toto ai presidenti di Regione ed ai sindaci, anche se solo “nei casi di di estrema necessità ed urgenza” e in attesa dei decreti del presidente del Consiglio, in tal senso richiamando però solo le norme relative ai poteri di ordinanza per ragioni sanitarie (art.3) e non anche quelle per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica che infatti sono di competenza esclusiva dello Stato.
In base a questa estensione alcuni presidenti di Regione hanno adottato ordinanze contingibili e urgenti istituendo zone rosse analoghe a quelle adottate dal Governo, che però debbono essere considerate erronee o “monche”, in quanto non avrebbero potuto autonomamente disporre in materia di ordine e sicurezza pubblica. Basti pensare a titolo esemplificativo all’ordinanza del 7 marzo 2020 con cui il presidente della Regione Campania ha disposto – ai limiti della legittimità – la “sospensione temporanea delle attività delle discoteche e di ogni altro luogo di ritrovo sul territorio regionale”, notificandola a sindaci, prefetti e questori “perché dispongano le verifiche e i controlli di rispettiva competenza in ordine all’osservanza delle presenti disposizioni”, ciò che ha fatto insorgere il Ministro dell’interno che ha pubblicamente rimarcato come i presidenti di Regione non possano dare disposizioni alle Autorità di P.S. che dipendono dal Governo.
Ministro dell’Interno che, con direttiva dell’8 marzo 2020 indirizzata ai prefetti, ha confermato il quadro normativo e la suddivisione delle responsabilità precisando come “per lo svolgimento delle predette attività, il prefetto – ove ne ricorra la necessità – si avvale delle forze di polizia, con il concorso del corpo nazionale dei Vigili del fuoco, nonché di personale delle Forze Armate”, che “i prefetti dei capoluoghi di Regione, nelle funzioni di rappresentante dello Stato (…) dovranno acquisire ogni utile elemento dalle Regioni, ordinariamente competenti in materia di sanità, al fine di coordinarsi”, rilevando “l’esigenza che in ogni caso, e soprattutto in questo delicato momento, non vi siano sovrapposizioni di direttive aventi incidenza in materia di ordine e sicurezza pubblica, che rimangono di esclusiva competenza statale e che vengono adottate esclusivamente dalle Autorità nazionale e provinciali di pubblica sicurezza”, con particolare riferimento alla disposizione che “nei suddetti ambiti territoriali, prescrive di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori in questione, nonché all’interno dei medesimi, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero spostamenti per motivi di salute”.
Con l’effetto che la successiva ordinanza del 15 marzo 2020 con cui il presidente della Regione Emilia-Romagna ha istituito zone rosse nel Comune di Medicina e nella frazione di Ganzanigo, facendo salve “le misure statali, regionali e comunali di contenimento”, è stata emanata appunto sentito “il prefetto di Bologna e d’intesa con il sindaco del Comune di Medicina”, autorità come detto competenti anche in materia di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica per conto del Governo, senza la cui leale collaborazione con la messa a disposizione della ‘Forza pubblica’, avrebbe fatto rimanere la suddetta ordinanza regionale lettera morta e inefficace.
Le mancate zone rosse ad Alzano e Nembro
Per quanto concerne quindi il caso delle zone rosse di Alzano e Nembro, alla luce della suesposta ricostruzione logico-giuridica, non vi è dubbio che è mancato il coordinamento interistituzionale tra Governo e Regione Lombardia. Il presidente del Consiglio, quale garante dell’unità politico-amministrativa – soprattutto in caso di compressione di libertà costituzionali, morti massificate e potenziali rischi di contaminazione su tutto il territorio nazionale – avrebbe avuto tutte le informazioni in tempo reale e gli strumenti per istituirle, vista anche la proposta dell’Istituto superiore di sanità rivolta al Governo di chiudere i due Comuni, tanto che la ‘Forza pubblica’ era già stata inviata sul territorio, per poi essere inspiegabilmente nottetempo ritirata.
È pur vero che il presidente della Regione Lombardia avrebbe potuto insistere sul punto con più determinazione senza magari farsi condizionare dal pressing degli interessi sul territorio ma, in base alle disposizioni vigenti, in attesa dei preannunciati decreti del presidente del Consiglio, avrebbe potuto emanare un’ordinanza contingibile e urgente per motivi sanitari e chiudere gli ospedali interessati; con conseguente rischio però di autodeterminare un problema di “ordine pubblico sanitario”, visto che i malati avrebbero poi dovuto essere indirizzati in altre strutture, con conseguente allargamento dei contagi in altre aree del territorio regionale.
Artiolo di Filippo Bertolami per TPI.it