Produci, lavora, consuma. Anche quando una pandemia scuote il mondo, anche quando uno dei virus più potenti dell’ultimo secolo manda nella tomba i tuoi famigliari, i tuoi amici. È così che migliaia di aziende sono rimaste aperte. È così che tante multinazionali hanno preferito ripartire anche senza le adeguate protezioni per i lavoratori. È così che in questo 2020 il profitto è venuto sempre prima della salute, delle vite umane. Due pesi, due misure. “Mai come ora la nostra comunità deve stringersi forte come una catena a protezione del bene più importante, la vita. Se dovesse cedere un solo anello di questa catena saremmo esposti a pericoli più grandi, per tutti”.
Con queste parole, la sera del 20 marzo, il premier Conte annunciava la chiusura delle attività produttive non essenziali e una restrizione ulteriore della libertà di movimento dei cittadini rispetto alle misure del precedente decreto “Cura Italia”. Eppure sin dall’inizio della crisi, accanto ai cittadini costretti a restare confinati in casa, moltissimi sono stati altrettanto costretti ad andare a lavorare, esponendosi al rischio di contrarre il virus e al pericolo di diffonderlo. Produci, lavora, consuma. E contagiati. C’è chi non ha mai chiuso. I peggiori focolai hanno tutti un minimo comun denominatore: le aziende che sono rimaste aperte. Nelle fabbriche i contatti si moltiplicano, i controlli sono impossibili da eseguire su centinaia di persone, il distanziamento sociale è un’utopia. Ora che siamo nella Fase 3 possiamo tirare le somme: sono proprio i territori dove la produzione non si è fermata gli stessi che si sono trasformati nei lazzaretti d’Europa. Un esempio su tutti: la Val Seriana. Di quel lembo di terra bergamasca che comprende ben 376 aziende ne abbiamo parlato tante volte sulle pagine di questo giornale, con una serie di inchieste esclusive, e ora la correlazione tra la pressione di Confindustria e la mancata zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano è oggetto di un’indagine della procura di Bergamo per epidemia colposa. Con 20mila decessi nella regione Lombardia le aziende hanno continuato a macinare, come la Dalmine. Un colosso della siderurgia che ha tenuto aperti anche i reparti dei beni non essenziali, perché la legge glielo ha consentito. Con un bilancio amaro: due operai deceduti e altri finiti in terapia intensiva, e giovani precari costretti a lavorare da volontari nella filiera più rischiosa.
Specifichiamo, non si tratta di un caso solo lombardo. Ieri sono emersi due cluster in due diverse parti d’Italia, tra l’altro due Regioni dove i governatori si sono sempre auto-proclamati paladini della salute: l’Emilia-Romagna di Bonaccini e la Campania di De Luca. A Bologna si è acceso un pericolosissimo focolaio nell’azienda di logistica Bartolini. 64 persone sono risultate positive al Covid e 300 lavoratori sono in isolamento, a rischio, con i sintomi. I sindacati lo hanno spiegato chiaramente a TPI: “La Bartolini non ha mai chiuso davvero durante il lockdown e dal 4 maggio ha ripreso a pieno ritmo ma senza nessuna sicurezza”.
E intanto, a Mondragone, in provincia di Caserta, è stata creata una zona rossa per contenere i contagi provenienti soprattutto da un gruppo di braccianti di origine bulgara. E se già sono gravi di per sé 49 casi positivi, a peggiorare la situazione sono state le tensioni sociali: una guerra tra disperati, dove i cittadini campani senza più lavoro si sono rivoltati contro quelli che hanno chiamato “untori” e che sarebbero le persone che invece sono state costrette a lavorare nei campi durante tutta la pandemia per far arrivare sulle tavole di tutti noi quelle verdure di cui non sappiamo fare a meno.
Questa schizofrenia non è però una peculiarità solo italiana. Dagli Stati Uniti all’Europa i governi hanno assunto misure contraddittorie, annunciano disposizioni per poi rimangiarsele e hanno generato gran confusione nelle opinioni pubbliche, spesso parandosi dietro l’incertezza del momento. Ed è andata così in Germania, nella città di Gütersloh, nel Nord Reno-Vestfalia dove la bomba è scoppiata all’interno di un mattatoio. La struttura è gestita da Tönnies, una grande azienda tedesca del settore della carne. In poche ore si è sollevato un vero e proprio caso nel Paese e 7mila persone sono finite in quarantena. Produci, lavora, consuma. E non ti fermare mai.
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dall'articolo di Veronica Di Benedetto Montaccini per TPI.it