In Calabria il partito della Meloni è travolto da scandali, arresti eccellenti e inchieste giudiziarie. Edmondo Cirielli, che decise le candidature alle regionali, è stato silurato. Il rischio implosione è dietro l’angolo e la leader sovranista toglie i “suoi” dai posti di potere. La situazione è decisamente critica se Giorgia Meloni, la leader sovranista per eccellenza, ha smesso di vantarsi delle percentuali strabilianti e dei sondaggi favorevoli per intraprendere, almeno per la Calabria, un nuovo percorso d’azione politica, divenuto quasi obbligato: la fuga. Il diktat imposto ai “fratellisti calabresi” è stato la “Fdi-Exit” ossia il rifiuto di esprimere il candidato Sindaco a Reggio Calabria (che sul tavolo nazionale è andato alla Lega), la Presidenza del consiglio regionale (andata a Forza Italia) e la Presidenza della commissione regionale anti ‘ndrangheta.
I motivi alla base di questa scelta riguardano importanti inchieste delle direzioni distrettuali antimafia calabresi che hanno avuto ampia eco nelle testate nazionali e che hanno scosso la Meloni al punto di rimuovere il commissario provinciale del Partito a Reggio Calabria, il salernitato Edmondo Cirielli che era deputato a stilare le liste per le elezioni regionali calabresi. E pensare che la Meloni nel dicembre 2019 dichiarò, dopo l’arresto per voto di scambio politico-mafioso dell’ex assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso, che “la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta ci fanno schifo e ci fa schifo chi scende a patti con loro. Da sempre, noi di Fratelli d’Italia siamo rigidissimi nella selezione e nelle candidature e facciamo tutto quello che è nelle nostre possibilità per proporre agli italiani persone senza macchia”.
Una selezione che, invece, in Calabria pare essere stata scricchiolante, come da lei riconosciuto nelle reprimende ai maggiorenti del Partito. Già prima delle regionali, il “suo” candidato in pectore a Sindaco di Reggio Calabria, predecessore di Cirielli nel ruolo di coordinatore di Fdi per la provincia di Reggio, Alessandro Nicolò venne arrestato nel luglio 2019 a causa dell’indagine della Dda di Reggio Calabria denominata “Libro nero” che lo vede indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accusa Nicolò avrebbe favorito, in cambio di appoggi elettorali, gli obiettivi della cosca Libri di Cannavò, al cui vertice vi sarebbe Filippo Chirico, genero del boss defunto Pasquale Libri, già condannato a 20 anni di reclusione nell’inchiesta Theorema-Roccaforte.
Non è andata meglio con i “suoi” consiglieri regionali eletti nell’ultima tornata elettorale del gennaio scorso (3 su 4 transfughi del centrosinistra). Domenico Creazzo, già sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, appena un mese dopo la sua elezione è stato arrestato (ed è tutt’ora agli arresti domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta “Eyphemos” della Dda di Reggio Calabria. È accusato di voto di scambio politico mafioso con la cosca Alvaro di Sinopoli. Nella stessa inchiesta compare l’altro consigliere ex PD fresco di svolta sovranista Giuseppe Neri. Pur non essendo indagato, in un passo dell’ordinanza di custodia cautelare dell’ex consigliere Creazzo si legge che il fratello di quest’ultimo, Antonino, “senza mezzi termini, ascriveva il successo elettorale precedente di Giuseppe Neri ‘all’impegno’ di importanti cosche di ‘ndrangheta, attivate tramite intermediario”.
E se il vicepresidente del consiglio regionale calabrese in quota FdI Luca Morrone è accusato da Nicola Gratteri di “traffico di influenze” nell’ambito dell’inchiesta Passepartout, il capogruppo Filippo Pietropaolo comprare nelle carte del decreto di perquisizione e sequestro del 26 novembre 2008 della Procura di Salerno (emanato nell’ambito dei procedimenti aperti a carico delle toghe catanzaresi e col fine di acquisire gli atti dei procedimenti “Why not” e “Poseidone”, sottratti a Luigi De Magistris) quale prestanome (in qualità di amministratore della Roma 9 s.r.l.) per l’acquisto di un immobile in co-proprietà con Giancarlo Pittelli. Quest’ultimo è un ex parlamentare in carcere dallo scorso dicembre (arrestato dallo stesso Gratteri perché indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e ritenuto al centro della maxi-inchiesta Rinascita-Scott), che la Meloni nel 2017 aveva accolto nel Partito twittando: “Pittelli è un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia”.
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