L’Italia nei prossimi anni, per accedere agli ingenti fondi messi a disposizione dalla Comunità Europea, deve saper dimostrare di saper investire e di saper spendere in ricerca sia pura che industriale. Lo “storico” non è per nulla incoraggiante. L’Italia spende poco e male i fondi Europei. Ci sono intere schiere di ministeriali che sembrano avere come fine ultimo della loro esistenza quello di complicare la già bizantina legislazione italiana rendendo impossibile accedere ai fondi stanziati per le nostre aziende e start up. Burocrazia cieca ed ottusa che rema ormai da decenni contro gli interessi e lo sviluppo del paese. Facciamo l’esempio del credito d’imposta per ricerca e sviluppo.
Un bellissimo (almeno teoricamente) strumento introdotto dal Governo Renzi. Secondo le (buone) intenzioni, le aziende che avrebbero investito in ricerca industriale avrebbero potuto usufruire, in maniera quasi automatica, di un cospicuo credito d’imposta. A prima vista uno strumento rapido, veloce ed efficiente. Ma in Italia, il diavolo non si limita a vestire Prada ma dà il meglio di sè in decreti attuativi ed esplicativi delle norme di legge. Il biennio 2016-2018, per la Ricerca Industriale in Italia sarà ricordato come l’era della Fedeli e di Cantone (rispetto a cui l’era di Ultron descritta nei film della Marvel avrebbe potuto essere considerata come la mitica età dell’oro). Il dinamico duo introdusse una serie di norme restrittive capaci di distruggere la resistenza fisica, nervosa e mentale di qualunque onesto cittadino. Le intenzioni di base di questo diluvio di circolari erano sicuramente ottime e condivisibili, ma hanno finito per introdurre troppe norme, troppe restrizioni e hanno generato un contenzioso che darà da vivere, nei decenni futuri, a legioni di fiscalisti ed avvocati.
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dall'articolo di @Vincenzo Vespri per NextQuotidiano.it