Ore convulse nel partito di Matteo Salvini, dove è caccia grossa ai furbastri del bonus per le partite Iva danneggiate dal coronavirus. Ben tre su cinque deputati che l’hanno intascato nonostante il pingue stipendio sarebbero targati Lega, motivo per cui il furibondo segretario ieri pomeriggio ha virato da “vergogna, dimissioni” all’”immediata sospensione dal gruppo parlamentare”. Il problema, però, resta trovare i reprobi. Il tam tam della politica ipotizza due uomini e una donna, un lombardo e uno (o una) del Sud, a riprova del fatto che la Lega da nordista è diventata a tutti gli effetti nazionale. Trascorsa una notte – non del tutto serena per i vertici di via Bellerio – la situazione non è cambiata. Gli accertamenti del caso, che tutti i partiti hanno giurato di avere avviato, non hanno dato esito. Gli inviti all’autodenuncia neanche. “Come ha detto ieri Salvini – commenta sconsolato il capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari - se li troveremo, saranno sospesi dal nostro gruppo”.
Ma renderete noti i nomi all’opinione pubblica? “Intanto, ci auguriamo vivamente che si auto-denuncino”. Dietro l’imbarazzo non filtra altro: nessuna dichiarazione ufficiale. Luca Zaia, fortissimo governatore del Veneto, condivide la scelta della sospensione come punizione ma prima ancora invita eletti e amministratori locali a uscire allo scoperto: “Faccio un appello, tutti chiariscano se hanno ricevuto o meno il bonus, in una sorta di Me Too al contrario. Così evitiamo la caccia all’untore. Oggi il sentiment dei cittadini che dicono “fuori i nomi” è forte e va ascoltato, ne va della credibilità della classe dirigente”.