Non si può dimenticare il senatore di An Nino Strano che mangia mortadella e butta champagne sulla moquette del Senato il giorno della caduta del secondo governo Prodi, il 24 gennaio 2008. Non si possono dimenticare le risse tra deputati nell’emiciclo istituzionale, il cappio esibito dal leghista Luca Leoni Orsenigo il 16 marzo 1993, i pugni al deputato Voccoli, Prc il 21 settembre 1994. E poi la gazzarra tra Franco Barbato (Idv) e deputati Pdl, 7 luglio 2010, con Barbato che ha la peggio, viene colpito da un pugno e finisce in ospedale, con prognosi di quindici giorni per “trauma contusivo della regione zigomatica e all’occhio destro” con “cefalea post traumatica”; o Gasparri, che subito dopo la rielezione di Giorgio Napolitano a Capo dello Stato, 23 aprile 2013, esibisce il dito medio alla folla che acclama Rodotà: o anche la rissa in Senato, 15 giugno 2017, quando si vota lo ius soli e Valeria Fedeli, Pd, finisce in infermeria dopo gli spintoni di alcuni senatori leghisti piovuti sui banchi del governo.
Si potrebbe continuare con altri poco onorevoli episodi consumati, anche in un passato più remoto, nei palazzi della politica, lì dove siedono i rappresentanti dei rappresentati, il popolo. Va bene, senza vincolo di mandato, ma fino ad un certo punto. L’Espresso per anni ha pubblicato gli elenchi degli onorevoli assenteisti o anche dei clamorosi vitalizi conferiti dopo la fatidica soglia dei 2 anni e sei mesi e rotti. Insomma, il vaso dell’irritazione pubblica per i nostri parlamentari era strapieno ben prima dell’avvento dell’orda iconoclasta grillina. Nel 2005, molti lo hanno dimenticato, fu dato alle stampe da Mondadori il libro di Massimo Villone e Cesare Salvi, “Il Costo della Democrazia”, sottotitolo, eliminare sprechi, clientele e privilegi per riformare la politica. Quarta di copertina: un’inchiesta politica sulle incredibili e preoccupanti spese del grande apparato politico che ci governa. Dai più piccoli comuni all’Unione europea. Più o meno nello stesso periodo, giugno 2005, Beppe Grillo aveva lanciato la campagna “Parlamento pulito”, per sensibilizzare sulla presenza nelle aule parlamentari di allora di 20 condannati in via definitiva. Nessuno se lo filò. Poi l’Elevato, allora solo comico alternativo, acquisto una pagina sull’Herald Tribune e fu intervistato dalla Bbc.
Ma già i Girotondi, rivolti alla sola sinistra, il grido lancinante di Nanni Moretti in una Piazza Navona fredda e smarrita nel 2001, “con questi non vinceremo mai”, erano tutti segnali di un disagio verso un certo modo di fare politica, del distacco dalla vita reale del deputato una volta entrato nelle calde e ammalianti stanze del potere. Quindi, ben prima, molto prima del libro divenuto icona, “La Casta”, Rizzoli, dei colleghi Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, a cui un certo vento si fa risalire. La Casta uscì nel maggio del 2007. Il primo, clamoroso, Vaffaday di Beppe Grillo, si svolse l′8 settembre dello stesso anno. Erano i tempi in cui governava la frastagliata coalizione dell’Unione per il secondo governo Prodi, dominata da rendite di posizione finanche di un singolo deputato, visti i risicati numeri della maggioranza. Per cui avevamo i frequenti casi di coscienza dei cattodem, oppure dei comunisti duri e puri alla Rossi e Turigliatto, in una incomprensibile, per gli elettori di centrosinistra, corsa allo sfascio che puntualmente arrivò con la caduta del governo. Erano gli anni in cui si votò una legge elettorale chiamata porcata dal suo stesso autore, Roberto Calderoli, leghista, tanto porcata che rimase come legge elettorale vigente per tre legislature. Il lancio del libro di Rizzo e Stella così recitava:
“Che futuro ha un Paese dove la fame di poltrone ha spinto a inventare le comunità montane al livello del mare? Dove il Quirinale spende il quadruplo di Buckingham Palace? Dove una “lasagnetta al ragù bianco e scamorza” dello chef del Senato costa la metà di una pastasciutta alla mensa degli spazzini? Dove ci sono partiti nati dalla mutazione genetica di una bottega di cuoio e ombrelli? Dove conviene fiscalmente regalare soldi a una forza politica piuttosto che ai bambini lebbrosi? Che futuro ha un Paese così? Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum. “Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni. Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco. Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila. Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’autoblu. La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l’intera società italiana. Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e ustionanti. Che dovrebbe spingere la classe dirigente a dire: basta”.
Si può dire quel che si vuole, si può gridare all’imperfezione di un taglio senza i contrappesi di una legge elettorale riequilibrante, regolamenti parlamentari ad hoc e leggi costituzionali per meglio rideterminare i collegi senatoriali. Tutto giusto, tutto vero. Ma i grillini sono stati il braccio armato di un sentimento presente nella società che la politica tradizionale si è intestardita per anni a chiamare antipolitica, con disprezzo e distacco. Non consapevole che disprezzo e distacco si stava materializzando verso essa stessa. Un Paese messo in ginocchio prima dalla crisi finanziaria e ora dal Covid merita comportamenti rigorosi. I numeri e l’esperienza di questi decenni dicono che i parlamentari sono troppi e che era giusto diminuirli. Se la legge elettorale è sbagliata, si cambi. Non dimentichiamo che l’ha scritta il centrosinistra, come sempre pensando di governare in eterno, pro domo sua. Il segnale che può arrivare con la decisa vittoria dei Sì è che ad un certo passato, anche recente, non si può più tornare. Che non è una questione di costi, ma riguarda l’etica pubblica. In forza di quel vento iconoclasta furono poi fatte delle legge sbagliate, come ad esempio l’abolizione delle Province. Ma la riduzione dei parlamentari va nel senso giusto, coniugata con una trasparenza che la politica ancora non conosce.
Non si tratta di votare una legge grillina. Anzi, il Pd ha sbagliato a dire Sì soltanto alla quarta votazione. Lo stesso Pd che ha affossato la riforma costituzionale di Renzi, che andava nella stessa direzione, ma che affondò per certi versi, lo stesso toscano rottamatore ergendosi a novello Napoleone (chi promuove il gioco della torre in Italia perde sempre). Ricordatevi di fare le cose quando le dovete fare e di non ridurre tutto alla pura emergenza, l’unica moneta che sembra guidare la politica italiana, a destra e a sinistra. C’è una legge elettorale da fare, fatela. E votate Sì al referendum. Se il centrosinistra dovesse rovinosamente perdere le Regionali tra i motivi c’è anche questo: l’incapacità di fare scelte radicali a viso aperto.
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