Inchiesta a Milano e lancio di pomodori a Torre del Greco. Salvini cerca di uscirne buttandosi a capofitto in campagna elettorale. In questo scorcio di campagna elettorale e referendaria, Matteo Salvini ostenta il rosario ma tiene d’occhio l’orologio. Meno nove giorni al voto. Che possono facilmente volare nel frullatore di un tour elettorale che al ritmo di dieci comizi al giorno – dodici nelle prossime trentasei ore - ha toccato Marche, Toscana, Liguria. Oggi la Campania, con gli altri leader del centrodestra per Stefano Caldoro a Napoli in piazza Matteotti; domani Basilicata e Puglia, gran finale a Bari; da lunedì di nuovo le Marche. La prossima settimana però rischierebbe di diventare lentissima, ogni giorno un purgatorio, se “l’inchiesta sui commercialisti della Lega” continuasse a occupare le prime pagine dei giornali. Chi era presente ieri all’evento di Signa, al termine del quale il leader leghista ha avuto la notizia degli arresti degli “uomini dei conti” del partito, racconta l’incredulità (prima) e la rabbia (subito dopo) di Salvini. “Giustizia a orologeria”, appunto, come sussurrano nel Carroccio:
“Perché provvedimenti così eclatanti scattano adesso, se l’indagine risale a mesi fa?”. All’ex titolare del Viminale basta poco per riprendere un’apparente compostezza: “Cercano soldi in Russia, Svizzera, San Marino, Lussemburgo… Non troveranno niente perché non c’è niente. Sono tranquillo, ho fiducia nella magistratura. Mica sono tutti come Palamara...”. L’ordine di scuderia parte rapido: nessun timore, zero attacchi ai pm, toni bassi, guai ad alimentare retroscena. La persecuzione, più che giudiziaria, è politica: “Fomentano un clima di odio intorno a me, a noi” si lamenta Salvini.
Mette in fila gli episodi: la donna senegalese che gli ha strappato camicia e rosario a Pontassieve, la vernice sui muri della sede di Voghera, il lancio di pomodori stamattina a Torre del Greco, la manifestazione anti-razzista messa su in quattro e quattr’otto a Napoli in concomitanza del suo imminente comizio. A Torre del Greco erano in centinaia, organizzati: Salvini è stato costretto a risalire in auto tra i fischi. Claudio Borghi osserva: “Mi ricordavo che impedire comizi elettorali fosse reato, la volta che gli ultras della Nocerina contestarono De Luca finirono a processo. Non vorrei che ci fossero due codici penali diversi”. Ma niente, Salvini si mette al collo un nuovo rosario e ai suoi dice di attendere. Piuttosto: “Sono preoccupato per la riapertura delle scuole”. Ecco.
Eppure, “follow the money”, il mantra di ogni investigatore che si rispetti, sembra perseguitare – lui sì – la Lega. Il Russia-gate: i presunti “fondi neri” legati a una tangente petrolifera oggetto di una riunione tra avvocati, faccendieri ed emissari del governo russo nel lussuoso hotel Metropol di Mosca per cui è indagato, con la pesante accusa di corruzione internazionale, l’ex portavoce del capo Gianluca Savoini. L’imbarazzante vicenda dell’ex sottosegretario Armando Siri, sotto indagine per un mutuo anomalo e senza garanzie concessogli da una banca di San Marino per 600mila euro. Il tesoriere Giulio Centemero rinviato a giudizio per 40mila euro di finanziamento che i pm ritengono illecito. Il camici-gate in Regione Lombardia che ha costretto il governatore Attilio Fontana a un balletto di dichiarazioni contrastanti. E naturalmente, la madre di tutte le investigazioni: il filone genovese che indaga sui 49 milioni in rimborsi elettorali svaniti nel nulla, per cui sono finiti sotto sequestro i conti correnti della Lega. Una somma favolosa che nel tempo ha assunto i contorni fiabeschi della pentola d’oro in fondo all’arcobaleno, e che nessuno crede davvero di rivedere.
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