Imagoeconomica parlamentari assentiI sostenitori del No al referendum tagliapoltrone parlano di attentato alla rappresentanza. Ma il 90 per cento dei gruppi alla Camera e l'83,33 per cento di quelli al Senato ha la maggior parte dei membri che produce meno della media.  Il referendum sul taglio dei parlamentari si avvicina e siamo alla resa dei conti. Sì, soprattutto i conti delle presenze in Aula di senatori e deputati. Perché il monitoraggio continuo di OpenParlamento sull’attività dei rappresentanti del popolo in carica non lascia certo spazio ad interpretazioni fantasiose. Le percentuali sono calcolate non sulle sedute, ma sul totale delle votazioni svolte da inizio legislatura. Alla Camera il primato tra gli assenteisti spetta a Michela Vittoria Brambilla (Forza Italia), che dal 2018 ha partecipato soltanto a 78 votazioni su 6.304. Risultato? Il tasso di assenze è del 98,76 per cento. Ci si avvicina molto Antonio Angelucci, re delle cliniche private, che supera il 94 per cento di assenze a Montecitorio.  Più distante, ma sempre sul podio dei meno presenti, troviamo Vittorio Sgarbi, tornato in Parlamento dopo 12 anni ma senza far troppo l’abitudine all’AulaOpenParlamento riporta un 79,77 per cento di assenze alle votazioni. Tra accese discussioni ed ospitate tv, avrà di certo avuto altro da fare.

Seguono, aggiudicandosi quarto e quinto posto in classifica, l’azzurro Guido Della Frera con il 79,12 per cento e il pentastellato Leonardo Salvatore Penna a quota 71,26 per cento di assenze. A Palazzo Madama le cose non vanno molto meglio. Senatori a vita a parte, la percentuale di assenze più alta ce l’ha l’ex direttore de L’EspressoTommaso Cerno, eletto col Pd e di recente passato al Misto, mancato all’83,85 per cento dei voti. Segue il forzista Niccolò Ghedini, il fedelissimo avvocato di Silvio Berlusconi, assente nel 69,23 per cento delle sedute analizzate.  Al terzo posto troviamo Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia, che si attesta a 59,05 per cento. Poco dopo, dal Gruppo misto, Carlo Adriano con 49,24 per cento di assenze e, sempre nella top five, il leader di Italia Viva Matteo Renzi con 39,92 per cento di assenze. Ovvero 2397 volte su 6005. Se consideriamo una soglia di presenze sufficienti per un Parlamentare pari al 75 per cento, notiamo che già oltre un terzo dei Deputati, ben 238, non raggiungerebbe la soglia minima per “meritarsi” oltre 10 mila euro di stipendio. Poco più attenti, e soprattutto presenti, i Senatori. Sono infatti “solo” 66 quelli che non raggiungono il 75 per cento di presenze. Per alcuni di questi potrebbe, però, essere l’ultimo giro di giostra.

Gli italiani, infatti, sono chiamati ad esprimersi domenica e lunedì sul quarto referendum costituzionale nella storia della repubblica italiana. Il testo di legge prevede un taglio del 36,5 per cento dei componenti di entrambi i rami del Parlamento. La Camera dei Deputati potrebbe subire una riduzione da 630 a 400 seggi, il Senato della Repubblica da 315 a 200. Per capire quanto un parlamentare lavori i numeri non bastano. Durante la scorsa legislatura OpenParlamento aveva elaborato un “indice di produttività” calcolato sulla base delle proposte di legge presentate, delle presenze, degli interventi e così via. Un metodo non scientifico – e la fondazione sta lavorando per migliorarlo, tanto che i dati su questa legislatura non sono ancora disponibili – ma utile a far emergere storture.

Spulciando tra i dati aggiornati al 2018, si scopre che molti dei parlamentari con indice più basso sono stati rieletti. È il caso di Gianfranco Rotondi: chiuse la scorsa legislatura al 619 esimo posto tra i deputati più produttivi, con un indice di 29,33 ben lontano dalla primatista alla Camera, Donatella Ferranti (1.752), ma anche dalla media degli eletti, che si assestava a 213. Peggio avevano fatto il deputato leghista Carmelo Lo Monte (620esimo), con un indice di 26,8 nonostante il suo partito fosse il più attivo (media oltre i 400), e il forzista Alfredo Messina al Senato (305esimo; 26,63). Nulla però in confronto ai già citati Angelucci e Ghedini, l’uno a Montecitorio e l’altro a Palazzo Madama: il primo, 623esimo per produttività, fermo a 0,78; il secondo, 311esimo su 315, a 0,94.

A ogni modo non si tratta di casi isolati, se si pensa che il 90 per cento dei gruppi alla Camera e l’83,33 per cento di quelli al Senato ha la maggior parte dei membri che produce meno della media. A dimostrazione che in molti sono già esclusi, di fatto, dall’attività del Parlamento. D’altra parte, lo si è accennato, il tempo per fare il parlamentare è un lusso che non tutti hanno a disposizione. Sempre OpenPolis ha realizzato un’indagine sugli incarichi privati di ogni eletto, scoprendo che la maggior parte dei deputati e dei senatori, al momento dell’elezione, aveva un ruolo nei vertici di almeno un’azienda. Anche qui si arriva a casi estremi, come quello dell’azzurro Della Frera, deputato alla prima legislatura: al marzo 2018, quando è diventato parlamentare, aveva 21 incarichi in aziende, oltre a partecipazioni in 8 imprese.  Su tutte c’è il Gdf Group, holding attiva nell’immobiliare e nel settore alberghiero. Notevoli anche i 16 incarichi censiti per Daniela Santanché, senatrice berlusconiana socia e presidente di Visibilia Editore, oltreché di imprese dell’edilizia e di prodotti bio. Poco sotto, nella classifica dei più attivi nelle imprese, c’è un altro forzista, il deputato Maurizio Carrara, con interessi nel manufatturiero e nell’immobiliare che al momento dell’elezione risultava consigliere di ben 14 società. Insomma parlamentari a tempo perso.

Articolo di Maria Elena Cosenza  per LaNotiziaGiornale.it 

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