Che i diritti e gli interessi degli italiani siano scarsamente rappresentati da organi o poteri dello Stato è fuori di dubbio. Tuttavia, che il problema della rappresentanza venga posto da molti solo ora, ovvero alla vigilia del referendum sul taglio del numero dei parlamentari, è ridicolo. Vogliamo ragionare sul serio della questione della rappresentanza in Italia? Benissimo, facciamolo a tutto tondo, non solo adesso che sono in pericolo le carriere di politici terrorizzati dall’imminente riduzione di poltrone a loro disposizione. I politici italiani rappresentano idee e pulsioni dei cittadini che con il loro voto gli affidano l’onore di rappresentarli? Salvo rare eccezioni la risposta è no. E ciò non dipende dal numero degli eletti ma da due ormai preistoriche questioni che non sono state risolte: il ritorno alle preferenze e la soluzione dei conflitti di interessi. I parlamentari potranno essere 945, 600, 1500, 3500 ma fino a quando non verranno eletti direttamente dai cittadini ma nominati dalle segreterie dei partiti sempre pronte a premiare fedeltà e a punire l’indipendenza intellettuale, al Popolo verrà impedito di esercitare il potere ovvero il principio fondante della Democrazia resterà solo sulla carta. Inoltre fino a che non verrà impedito per legge a parlamentari o membri del governo di coltivare interessi personali accettando maxi-consulenze per loro o per i loro amici e familiari o barattando l’approvazione di una norma in cambio di una futura assunzione nel settore privato, la sovranità popolare resterà un concetto solo sbandierato durante le campagne elettorali. Sono soprattutto i conflitti di interessi a minare la possibilità da parte dei cittadini di vedersi riconosciuti quei diritti sanciti dalla Costituzione.
La Costituzione garantisce la tutela del risparmio ma la commistione tra potere politico e finanza ha, negli ultimi 30 anni, colpito le tasche dei risparmiatori italiani. Tre degli ultimi cinque Direttori generali del Tesoro (Mario Draghi, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli), finito il loro mandato, hanno trovato lavori strapagati nelle grandi banche d’affari internazionali.
Non si tratta di un colpo inferto ai principi democratici? Ovviamente sì, ma i neo-sedicenti difensori della rappresentanza tacciono per timore di inimicarsi i potenti di turno. Lapo Pistelli, deputato ed eurodeputato di lungo corso nel 2015 si dimise da viceministro degli affari esteri per diventare Senior Vice President di ENI. È un altro esempio di conflitto di interessi e ne potremmo fare a centinaia. Il passaggio di giudici dalla magistratura al Parlamento non getta ombre sulla loro imparzialità? Davigo da decenni ripete che i magistrati non dovrebbero fare politica. Io credo che candidarsi sia un diritto di tutti ma lasciare la magistratura ed accasarsi in un partito politico dovrebbe essere, per legge, una decisione senza ritorno.
In passato ho attaccato spesso i sindacati. Li ritengo responsabili della riduzione dei diritti dei lavoratori proprio come molti partiti politici. Sia chiaro, reputo il sindacato un’istituzione vitale soprattutto in un momento di grave crisi occupazionale come questo (se riacquistasse etica e volontà sarebbe fondamentale nella partita del Recovery plan) ma gli innumerevoli atti di genuflessione di certi sindacalisti di fronte ai governi di turno, spesso contraccambiati con posti al sole in Parlamento, gridano vendetta. I lavoratori sono adeguatamente rappresentati da segretari che una volta lasciato il sindacato fanno carriera nei partiti? Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani, rispettivamente quartultimo e terzultimo Segretario del CGIL sono diventati parlamentari. Così come Sergio D’Antoni, Savino Pezzotta, Franco Marini, Mauro Nobilia, Stefano Cetica e Renata Polverini. Tutti esimi segretari di sigle sindacali che in molti casi hanno lasciato la casacca di combattente per indossare quella di pompiere. Ovviamente ben retribuita.
Di tutto questo i paladini dei principi democratici a giorni alterni non parlano, in cambio definiscono il taglio dei parlamentari, tra l’altro votato in ultima lettura dal 97 per cento dei parlamentari della Repubblica, una deriva autoritaria, un atto reazionario, un abbattimento della rappresentanza, un attacco alla Costituzione. È singolare che si incensi la Costituzione solo adesso. I principi costituzionali sono ormai da decenni sotto attacco del grande capitale, della globalizzazione senza regole, dell’impero liberista ma pare che l’assuefazione a tutto questo abbia colpito molti.
.....................
articolo di Alessandro Di Battista per TPI.it