La voce dei padroni squilla forte e chiara a edicole unificate. “No”, dice il Sole 24 Ore (Confindustria). “No”, tuonano Repubblica, Stampa, Espresso, Secolo XIX, Huffington Post e giornali locali Finegil (Agnelli-Elkann-Fca). “No”, strilla il Giornale di B.. “No”, ripetono Messaggero, Mattino e Gazzettino (Caltagirone). “No”, pigola Domani, giornale senza padroni nel senso che ne ha uno solo (De Benedetti). “No”, spara Libero (Angelucci). “No”, ringhia il Riformista (Romeo). “No”, fa eco Avvenire (vescovi). I problemi nascono quando lorsignori devono spiegare perché mai si oppongano alla riduzione dei parlamentari, promessa e voluta da tutti per 40 anni, in linea col resto d’Europa: si arrampicano sugli specchi, violentano la logica, dicono e contraddicono, sommano le mele con le patate, agitano fantasmi e spaventapasseri, sparano supercazzole che oggi Zagrebelsky smonta a una a una nella magnifica intervista a Silvia Truzzi (pagine 2 e 3). Più parlano e meno convincono. Perché si capisce benissimo che dietro i loro No non c’è né la difesa della Costituzione, della democrazia, del Parlamento, della rappresentanza, dei territori, del popolo, tutti valori che la riforma non sfiora neppure.
C’è dell’altro che nessuno osa mai confessare per non gettare la maschera. Almeno fino alla discesa in campo di Billy Costacurta che, siccome era un ottimo stopper del Milan, Repubblica ha promosso a padre ricostituente. E lì, come il bambino davanti al re nudo, ha detto senza tante ipocrisie ciò che lorsignori nascondono: “Voto No perché non voglio più vedere i 5Stelle”. Evviva la faccia: finalmente, fra tanti Tartuffe, un tipo sincero. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la riforma costituzionale è stata votata da tutti i partiti (13 volte nelle precedenti legislature, quando il M5S non c’era, e quattro in questa) e nessuno l’attribuirebbe ai 5Stelle se tutti i partiti che l’han votata fossero coerenti e la sostenessero. Peraltro il M5S non è la prima forza parlamentare in virtù di un golpe militare o di una marcia su Roma, ma di libere elezioni previste da quella Costituzione che i signori del No dicono di difendere (quando fa comodo a loro). Dunque chi vuole liberarsene può votargli contro alle elezioni regionali, comunali e politiche. Ma chi pensa di sbaragliarlo bocciando una riforma che condivide è come quel coglione che, per far dispetto alla moglie, si tagliò i coglioni. E, se nel novero ci fosse solo Costacurta, poco male. Ma c’è pure tutto il fior fiore del potere, con giornalisti al seguito. Ieri al partito di Costacurta s’è iscritto il riportino più amato dal Sistema: Stefano Folli, il quale su Repubblica ci ammonisce che “Il referendum è un voto sui 5Stelle”. Apperò.
La prosa, al solito alquanto sepolcrale, è la consueta accozzaglia di nonsense: il M5S è “lacerato”, “schiacciato”, fallito, praticamente morto (infatti governa da due anni e mezzo col suo premier); e ha pure “rinnegato buona parte dei suoi principi” (infatti sta portando a casa anche il taglio dei parlamentari: e poi non è Folli a ripetere ogni giorno che al governo i 5Stelle fanno quel che vogliono e il Pd subisce?). Ma il meglio deve ancora venire: il referendum è “una zattera di salvataggio da afferrare come ultima salvezza prima che sia troppo tardi”, anzi “un plebiscito sul ‘grillismo’”. Questo notista politico che bivacca nei palazzi da 40 anni non s’è neppure accorto che i 5Stelle del referendum avrebbero fatto volentieri a meno: l’hanno voluto contro di loro 71 senatori, quasi tutti di FI e Lega che, subito dopo aver votato il taglio in Parlamento (l’ultima volta col 98%), hanno raccolto le firme per indire il referendum e rinviare l’entrata in vigore della riforma: speravano che intanto accadesse qualcosa, tipo una crisi di governo che ci mandasse al voto prima del referendum con 945 posti in palio anziché 600. Tutto volevano fuorché regalare la “zattera di salvataggio” e il “plebiscito” ai 5Stelle.
Ma ormai i fatti sono un optional e la logica un fastidioso impaccio sulla strada della Grande Restaurazione sognata da tutti i poteri, palesi e occulti. Che infatti sperano in una disfatta del centrosinistra alle Regionali e del Sì al referendum per abbattere l’ultimo diaframma che separa le loro zanne dal bottino del Recovery Fund (e magari del Mes): il governo Conte a trazione 5Stelle in alleanza col Pd tornato a sinistra dopo le sbornie napolitan-renziane. Si spera che gli elettori “grillini” l’abbiano capito e in Liguria, Puglia, Marche e Toscana votino di conseguenza. Del resto come spiegare l’incredibile campagna contro il Reddito di cittadinanza fondata sulla fake news che ne beneficiassero i presunti assassini di Willy? La verità è che lo ricevevano tre genitori; sono stati scoperti perché i controlli funzionano; e ora chi non ne aveva diritto restituirà fino all’ultimo cent. Ma questo vale per tutte le misure di welfare, in un paese ad altissimo tasso di criminalità, evasione e lavoro nero. Che si fa: si aboliscono le pensioni, la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione, gli sconti e i bonus ai poveri perché qualcuno potrebbe truffare o ammazzare? Anche qui, come sul No al referendum, ci si arrampica sugli specchi pur di non dire la verità: il Reddito di cittadinanza non piace perché funziona e l’han voluto i 5Stelle. Che restano l’unico ostacolo da rimuovere dalla scena politica, malgrado gli scandali che stanno emergendo sulla Lega e sono già emersi su FI. Anzi, proprio per quelli.
Fonte: Il Fatto Quotidiano – L’editoriale di Marco Travaglio da inaltoicuori.com