Col taglio dei parlamentari appena passato con il referendum confermativo del 20 e 21 settembre e la riforma elettorale con il proporzionale sbarrato al 5 per cento che hanno in mente Pd e Movimento Cinque Stelle, se si votasse tra poco, entrerebbero alla Camera solo cinque partiti: Lega (25,2 per cento), Pd (20,2 per cento), M5s (15,8 per cento), Fdi (15 per cento) e Fi (7,1 per cento). La maggioranza andrebbe al centro-destra con 227 seggi. Salvini e Meloni, da soli, ne avrebbero 193. Le percentuali attribuite a ciascuna formazione sono quelle degli ultimi sondaggi.
Secondo le ultime rilevazioni Tecnè sulle intenzioni di voto la Lega sarebbe il primo partito con il 26,2 per cento. Alle spalle del partito di Salvini, in perdita di consensi rispetto agli ultimi mesi (34 per cento alle Europee), ci sarebbe il Partito Democratico con 20,1 punti percentuali. Poi Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che supera il 15 per cento e si attesta al 16,1 e supera il Movimento 5 Stelle fermo al 15,7 per cento. Indietro Forza Italia al 7,5 e Italia Viva al 3,5 per cento. Solo 1,8 per cento per Azione di Calenda.
- Lega: 26,2 per cento
- PD: 20,1 per cento
- Fratelli d’Italia: 16,1 per cento
- Movimento 5 Stelle: 15,7 per cento
- Forza Italia: 7,5 per cento
- Italia Viva: 3,5 per cento
- La Sinistra: 2,5 per cento
- Azione: 1,8 per cento
- +Europa: 1,8 per cento
- Verdi: 1,6 per cento
- Altri: 3,2 per cento
Cosa succede dopo il referendum
Va ricordata però una cosa: sebbene il popolo abbia deciso di ridurre il numero di deputati e senatori, non si andrà adesso a elezioni anticipate. La legislatura in corso, infatti, verrà portata a termine con gli attuali numeri a Montecitorio e Palazzo Madama. Il taglio dei parlamentari verrà dunque applicato a partire dal 2023.
In questi tre anni, però, ci saranno altri passi da fare nel percorso che porterà il nostro Paese ad avere il numero più basso di parlamentari ogni 100mila abitanti in Europa. Il prossimo step, senza ombra di dubbio, è quello della legge elettorale. Alla Camera è già sotto esame un testo che prevede, al momento, il ritorno al sistema proporzionale con uno sbarramento al cinque per cento e il diritto di tribuna per le formazioni politiche più piccole. Vanno ridefinite infatti le regole del gioco, in base alla nuova geografia dei collegi, ma anche in base al nuovo numero di seggi. Il Governo, secondo quanto previsto dalla legge, ha 60 giorni per adottare un decreto legislativo che ridisegna i collegi elettorali. La riforma, infatti, prevede che il numero dei collegi per il Senato – su base regionale – scenda da sette a tre, con l’eccezione di Val d’Aosta (un seggio) e Molise (due). Una regola che penalizza soprattutto Umbria e Basilicata, che scendendo da sette a tre seggi perdono il 57,1 per cento della rappresentanza a Palazzo Madama.
Parallelamente alla legge elettorale, il taglio del numero dei parlamentari richiede una serie di altre riforme, necessarie per far funzionare il sistema sulla base delle nuove Camere. Bisognerà, su tutto, rivedere l’attuale sistema di elezione del presidente della Repubblica, con il numero dei delegati regionali che dovrebbe essere rivisto al ribasso rispetto agli attuali 58. Vanno modificati anche i regolamenti parlamentari, ad esempio riguardo al ruolo delle commissioni, che diventeranno molto meno numerose. Prima del 2023, dunque, il lavoro c’è ed è tanto: solo con tutti questi step il sistema istituzionale italiano potrà funzionare dopo il taglio del numero dei parlamentari.
Articolo di Veronica Di Benedetto Montaccini per TPI.it