governo conte 1 di maio e salviniDi Maio chiede chiarimenti per l’aumento di stipendio di Tridico ma gli stipendi di oggi dei vertici di Inps, ma anche di Inail, sono frutto di un patto Lega-M5S siglato con l’altro vicepremier Matteo Salvini e avallato dal premier Conte. Poi fu tutto bloccato dalla crisi del Papeete.  La storia dell’aumento di stipendio di Pasquale Tridico non è certamente edificante. Nonostante venga minimizzata dai 5 Stelle era naturale che Matteo Salvini prendesse la palla al balzo per chiedere la testa del presidente dell’Inps: “Inps, non ho parole. Invece di aumentarsi lo stipendio, prima paghi la cassa integrazione alle centinaia di migliaia di lavoratori che la aspettano da mesi, poi chieda scusa e si dimetta”. Ma se l’aumento è diventato effettivo con il decreto della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo del 7 agosto scorso, la decisione è stata presa durante il Conte 1, quando il Capitano era al governo.  

 

Non è un mistero che Tridico sia stato nominato presidente dell’INPS proprio dal governo Conte One, quello sostenuto da Matteo Salvini e dalla Lega. E infatti sul sito dell’INPS, oggi ancora giù per ovvi motivi dipendenti anche da Tridico, si ricorda perfettamente la circostanza: “Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Di Maio, visto il parere favorevole espresso dalle competenti commissioni parlamentari, ha deliberato il conferimento al prof. Pasquale Tridico dell’incarico di Presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale”. Insomma, è proprio quel Tridico che oggi la Lega attacca ad essere stato nominato presidente dell’INPS dal governo di cui Salvini faceva parte come ministro dell’Interno e vicepremier. All’epoca poi la nomina di Tridico venne salutata con favore dalla Lega, anche perché il suo predecessore era Tito Boeri che con Salvini ha un pessimo rapporto. E anche l’aumento è avvenuto allora. Spiega Repubblica:

Gli stipendi di oggi dei vertici di Inps, ma anche di Inail, sono frutto di un patto Lega-M5S siglato con l’altro vicepremier Matteo Salvini e avallato dal premier Conte. Lo dicono le carte. La legge istitutiva di Reddito di cittadinanza e Quota 100 — la 26 del 2019 — prevede che le retribuzioni siano fissate con decreto del ministro del Lavoro. Una nota dell’allora capogabinetto di Di Maio, Vito Cozzoli — ora presidente di Sport e Salute, spa del ministero dell’Economia — datata 12 giugno 2019, lo dimostra. Con tanto di cifre: 150 mila euro al presidente, 100 mila euro al vicepresidente e 23 mila euro ai tre consiglieri dei due consigli di amministrazione ancora da nominare. La nota era indirizzata alla Direzione generale per le politiche previdenziali dello stesso ministero del Lavoro e per conoscenza al premier, al ministro del Tesoro Giovanni Tria e al Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta

Insomma Di Maio chiede chiarimenti, Salvini chiede le dimissioni, Conte dice che non ne sapeva niente. Ma erano tutti al governo quando è successo il fattaccio. Sarà stato il maggiordomo? Il decreto dell’allora ministro Di Maio fu però bloccato dalla crisi del mojito, che fece slittare sia sia le nomine dei cda, sia le buste paga. Solo per questo motivo la decisione è stata rinviata fino all’agosto 2020, quando la ministra Catalfo ha firmato insieme a Gualtieri il decreto. Inoltre, come ricorda Roberto Perotti, gli aumenti dei vertici Inps sono stati finanziati anche con il taglio di un servizio semplice ma importante per i cittadini. Le buste arancioni:

Uno dei primi atti della gestione Tridico fu di interrompere il programma di spedizione delle buste arancioni, con le quali l’Inps si proponeva di informare ogni cittadino sull’ammontare che avrebbe percepito al momento di andare in pensione. È una questione di civiltà: è arcinoto che moltissimi cittadini non hanno una idea chiara di quanto percepiranno quando andranno in pensione, e spesso tendono a sovrastimare l’ammontare, con conseguenze in alcuni casi drammatiche sugli equilibri finanziari delle famiglie. Sulla scia dei paesi nordici quasi tutti i paesi europei oggi hanno un programma di buste arancioni, parte di un più generale programma di educazione finanziaria. Costa pochissimo (il prezzo di un francobollo convenzionato con Poste Italiane, addirittura zero per chi optava per la posta elettronica) e può salvare una famiglia. E qui sta il vero scandalo: le buste arancioni erano pagate sul capitolo “spese postali”, lo stesso che è stato ridotto per finanziare l’aumento dei vertici Inps. Un aumento quindi letteralmente finanziato sulla pelle di migliaia di cittadini, che (comprensibilmente) non hanno gli strumenti per interpretare esattamente le complicatissime regole delle pensioni italiane

Articolo di  NextQuotidiano.it 

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