Il 20 e 21 settembre in tutta Italia si è votato per il referendum costituzionale e in sette regioni anche per le regionali. I virologi avevano messo in guardia dicendo che si trattava di “una follia andare alle urne in emergenza sanitaria”. Oggi, due settimane dopo le elezioni e a tre dall’apertura delle scuole, i nuovi casi di Coronavirus stanno tornando a correre. Oltre 5mila nuovi casi in 48 ore. Quei numeri che non si vedevano da aprile, quando l’Italia era ancora in lockdown e lottava per far abbassare la curva pandemica della prima ondata, fanno paura. E con 2.578 nuovi contagi il rischio di una quarantena più stringente è decisamente reale. Ma come siamo passati dalla stabilità di 1.500 casi giornalieri a un improvviso balzo che sfiora quota 3.000? Una spiegazione potrebbe stare nel numero dei tamponi: negli ultimi due giorni infatti sono stati fatti più test che nei precedenti. Malgrado questo, i numeri non tornano: se infatti il 29 e 30 settembre la percentuale di tamponi positivi in rapporto alle persone testate era rispettivamente del 3,07 e del 2,97 per cento, negli ultimi due giorni si è saliti al 3,76 e al 3,48 per cento. Poi c’è la pista delle scuole, riaperte da tre settimane. Ma, nonostante 124 istituti siano stati chiusi per contagi e in oltre 900 si sia accertato almeno un caso, gli esperti del Cts continuano a parlare di “contagi intrafamigliari” e assicurano che “la colpa non è della scuola”. Allora è nei dati per regione che bisogna guardare per capire meglio il quadro: tra le prime 10 con più contagi, ben cinque hanno votato per le elezioni regionali e per il referendum due settimane fa. È un caso?
Dalla tornata elettorale sono passati esattamente 15 giorni, proprio il tempo medio di incubazione per il virus Sars-Cov2. Così è boom di casi in Campania dove si registra un +412, in Veneto con 261 nuovi casi. E sono 188 i contagi giornalieri in Toscana, 151 in Puglia e 121 in Liguria.
Come era accaduto in Francia a marzo, è alta la probabilità che il voto abbia giocato un ruolo nel far crescere i nuovi positivi al Coronavirus. Non esiste tuttavia una statistica ufficiale di se e quanti scrutatori abbiano contratto il Covid nei 12 giorni che sono trascorsi dal voto. Tanto meno, ovviamente, dei votanti.
Neanche a dire che i virologi non ci avevano avvertito. A poche settimane dall’apertura delle urne, il professore ordinario di Microbiologia dell’Università di Padova Andrea Crisanti aveva ricordato che il voto è “un appuntamento da prendere sul serio, le elezioni in Francia sono state detonatore di diffusione del virus”. O ancora il professor Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano aveva messo tutti in guardia: “Ma come si fa a fare le elezioni in uno stato di emergenza sanitaria? Abbiamo più di mille casi al giorno. Una vergogna totale”.
Ripensiamo un attimo a cosa significa andare a votare: file fuori dalle scuole, persone anziane (le più esposte al virus) trascinate a votare, personale della sicurezza a cui non sono stati garantiti i dpi adeguati. Sul tema della sicurezza delle elezioni, vi avevamo raccontato anche della battaglia degli scrutatori ai seggi, che temevano i contagi alle urne e in centinaia si erano ritirati a poche ore dal voto.
Per non parlare delle “tonnare” di giornalisti per le dichiarazioni dei politici nei punti stampa. Nessuno le ha mai regolamentate e le ammucchiate sono garantite. Basta vedere per esempio le foto delle interviste al candidato di Fratelli d’Italia in Puglia, Raffaele Fitto, risultato poi positivo. Vederlo con la mascherina in campagna elettorale era davvero una rarità. Insomma, una quantità infinita di possibilità di assembramento.
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