Piccolo bignami per conduttori di talk show, da usare quando un ospite disinformato e/o esagitato (cioè quasi tutti) attacca il pippone sulla dittatura sanitaria, i pieni poteri del premier tiranno, il Parlamento esautorato, la democrazia sospesa, il bavaglio della mascherina e mena scandalo per lo stato di emergenza e i Dpcm mai visti neppure negli anni di piombo. Stato di emergenza. Regolarmente previsto da una legge dello Stato, la n. 225 del 1992 (Istituzione del Servizio nazionale della Protezione civile), può scattare in occasione di calamità naturali e durare fino a 90 giorni, prorogabili o rinnovabili. Per l’emergenza Covid è stato dichiarato il 31 gennaio 2020, quando i positivi in tutta Italia erano 2 e i morti zero. Il 31 luglio è stato prorogato fino al 15 ottobre e ora sino al 31 gennaio 2021. Non assegna al governo né pieni poteri né maggiori poteri, ma consente ordinanze di Protezione civile (emanate d’intesa con le Regioni coinvolte) per immediati interventi di soccorso e assistenza ai cittadini colpiti, la messa in sicurezza degli edifici, gli approvvigionamenti necessari per far fronte all’emergenza con procedure semplificate e abbreviate.
Grazie allo Stato di emergenza: si è creato il Comitato tecnico scientifico in affiancamento al governo; si è potuto adottare lo smart working senza gli accordi individuali previsti dalla legge; la struttura del commissario Arcuri ha potuto acquistare in breve tempo banchi e attrezzature per le scuole e tutto il materiale sanitario e protettivo necessario contro il virus (mascherine, gel, camici, guanti, tamponi, test sierologici), saltando alcuni passaggi delle gare d’appalto; si è potuto bloccare voli e limitare ingressi da Paesi a rischio, noleggiare navi-quarantena per migranti, allestire le strutture temporanee per assistere i positivi, impiegare volontari della Protezione civile per i controlli negli aeroporti e nei drive-in per i tamponi, reclutare personale sanitario a supporto delle strutture regionali e delle carceri, anticipare il pagamento delle pensioni per scaglionarlo ed evitare assembramenti alle Poste. Eccetera. Tutto ciò non ha aumentato di un grammo il potere del premier e del governo (che ha agito con poteri conferitigli non dallo stato di emergenza, ma dal Parlamento che ha convertito il decreto legge del 6 marzo autorizzandolo ad “adottare ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica” e i decreti successivi). Ha semplicemente consentito interventi più rapidi ed efficaci in un’emergenza che si evolve di giorno in giorno e richiede risposte immediate e flessibili.
Chi si scandalizza per lo stato d’emergenza, come se non si fosse mai visto, dovrebbe sapere che nella storia repubblicana è stato dichiarato centinaia di volte, anche per eventi molto meno drammatici di questa pandemia (oltre 35mila morti in sei mesi e crollo dell’economia). E tuttora risultano prorogati decine di stati di emergenza, anche per calamità piuttosto risalenti nel tempo: terremoti in Emilia-Romagna (2012) e nel Centro Italia (2016), crollo del ponte Morandi, alluvione in Emilia e crisi idrica in Veneto (2018). Ma nessuno si scandalizza, forse perché nessuno lo sa. O perché non li ha dichiarati questo governo (nel 2012 c’era Monti, nel 2016 l’Innominabile e nel 2018 i gialloverdi).
Dpcm. È l’acronimo di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, anch’esso frequentissimo ed esistente da sempre nell’ordinamento repubblicano. Non dipende dallo stato di emergenza (può benissimo essere adottato anche senza), ma da leggi o decreti legge regolarmente approvati a monte dal presidente della Repubblica e a valle dal Parlamento (che, se non vuole i Dpcm, può bocciare i decreti che li autorizzano o sfiduciare il governo). Non sono dunque leggi primarie, ma norme amministrative di rango secondario: in pratica regolamenti attuativi di leggi e decreti veri e propri. La legge o il decreto enuncia i principi generali, il decreto attuativo ne fissa i dettagli tecnici. Quando lo adotta il premier, si chiama “Dpcm”; quando lo emana un solo ministro, “decreto ministeriale”; quando lo firmano più ministri, “decreto interministeriale”. Ma non può mai essere orfano o spuntare come un fungo: deve sempre essere figlio di una legge o di un decreto che lo autorizzi, regolarmente approvati dal Parlamento e promulgati dal capo dello Stato. E non è certo un’invenzione di Conte per il Covid: è regolato dall’art. 17 della legge 400 del 1988 (governo De Mita). Soltanto nell’ultima legislatura intera, la XVII (2013-2018), Openpolis calcola che il Parlamento approvò 352 fra leggi e decreti legge, di cui 88 (il 25%) hanno richiesto almeno un decreto attuativo. E molti di più i 126 decreti legislativi (leggi-delega). In tutto 214 norme primarie che richiesero ben 1.735 decreti attuativi: del premier (Dpcm), di un ministro (decreto ministeriali), di più ministri (decreti interministeriali). Dei 1.069 effettivamente adottati (61,61%), 722 (67,54) furono decreti ministeriali e 171 Dpcm (16,09). Eppure nessuno gridò alla dittatura del premier, ai pieni poteri, al Parlamento scavalcato e alla democrazia sospesa come si fa oggi per i 19 Dpcm anti-Covid varati da Conte in 8 mesi. Forse perché nessuno ci faceva caso. O perché c’erano altri premier?
Fonte: Il Fatto Quotidiano – L’editoriale di Marco Travaglio da inaltoicuori.com