presidenti del consiglio italiani che hanno tagliato e ridotto la spesa sanitariaL’Osservatorio Gimbe ha calcolato 37 miliardi di definanziamento al Sistema Sanitario Nazionale. Responsabilità che hanno nomi e cognomi: dalla lettera di Draghi-Trichet all’avvento di Monti, e poi governi incapaci di invertire la tendenza. I documenti e l’occasione storica per il governo in carica: ribaltare il paradigma imperante.  Potremmo dire che sia un caso il fatto che la Germania ha 28 mila posti letto in terapia intensiva, e l’Italia 5 mila (clicca qui) tanto che l’emergenza coronavirus fa tremare i polsi proprio per il rischio di saturazione di questi spazi, senza i quali la cura per i malati colpiti più gravemente (circa il 10% dei contagiati rilevati) rischia di diventare impossibile.  Potremmo dire che sia un caso il fatto che la spesa sanitaria in tutti i paesi del G7 sia cresciuta costantemente negli ultimi 10 anni, mentre quella italiana sia rimasta pressoché stabile e comunque inferiore al tasso di inflazione (dunque con una somma simile si acquistano meno beni e servizi rispetto a dieci anni prima). 

Potremmo dire dei luoghi comunismi degli sprechi (che ci sono sempre, forse anzi in percentuale superiore quando la spesa totale diminuisce), dei fannulloni del servizio pubblico oggi applauditi come eroi, dei pizzicagnoli che sono evasori fiscali.  Fatto sta che siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione nell’approccio alla spesa sanitaria pubblica, oltre che al ruolo precipuo del settore pubblico nell’economia e nella società: austerità, tagli, disoccupazione, emigrazione, classismo, persino terremoti sono trascorsi inutilmente, pur tra le proteste sempre più partecipate, e studi empirici incontestabili che testimoniavano la dannosità delle politiche intraprese. C’era il pilota automatico, come diceva Draghi, con il volante di guida tra Francoforte e Bruxelles. Persino il centro studi di Cottarelli ci ricorda che per il disastroso terremoto del 2016 la Commissione concesse le briciole di una flessibilità dello 0,18% del Pil, 3,1 miliardi di spesa aggiuntiva che sono uno schiaffo in faccia a tutti gli italiani, specie quelli che stanno sempre zitti ad obbedire.   Potremmo dire tutto, affermare che siamo di fronte ad un cambio di paradigma epocale e inaspettato che cancella “30 anni di cazzate del neoliberismo” (lo ha detto Carlo Calenda a proposito di se stesso già qualche mese fa), che i 25 miliardi di spesa del governo (in una settimana passati da 3,5 a 25, e poi da spendere subito) e la promessa di altri investimenti rapidissimi già dal mese di aprile sono, obbligati o meno, una giravolta totale rispetto al mantra sciocco dei “conti in ordine” che ha impedito allo Stato Italiano di aiutare davvero i terremotati o creare lavoro stabile quando necessario.

Potremmo dirlo, e va detto. Ricordando però che se la confessione monda dai peccati, la gestione della cosa pubblica non può tornare nelle mani di chi ha operato non per il bene dei cittadini rappresentati, e in applicazione delle disposizioni della Costituzione Repubblicana. Ma in obbedienza a poteri economico-finanziari e a indicazioni di Stati o organizzazione straniere che non rispondevano ai principi della democrazia.

I tagli alla Sanità italiana portano il nome, primo fra tutti, del governo Mario Monti (2011-12): così l’ex presidente del think tank Bruegel, che aveva per membri le più grandi aziende multinazionali europee, ha agito in pochi giorni, sulla scorta dello choc dello spread.

I governi seguenti hanno continuato nel solco del pilota automatico innestato da Monti. Come spiega lo studio dell’Osservatorio Gimbe sopra linkato, il definanziamento si è avuto con una crescita degli stanziamenti inferiore a quello dell’inflazione. Sono stati i governi Letta (2013-14), Renzi (2014-2016), Gentiloni (2016-18).

Diverso e troppo ravvicinato il discorso dei governi Conte 1 e 2. In entrambi vi è stata una leggera inversione di tendenza, non facile da misurare al momento con precisione. Ma adesso con l’emergenza coronavirus il governo in carica ha anche l’occasione storica per cambiare del tutto il paradigma. O, attenzione, il rischio di distruggere definitivamente il Paese.

Ci sono dunque nomi e cognomi, volti e mani che hanno letto e firmato, che speriamo restino confinati ad un passato che non vorremmo più tornasse tra noi. Che almeno questi sedicenti statisti evitino di spiegare come ci dobbiamo salvare; e che i media nazionali siano in grado di fornire una informazione corretta.

Resta poi il grande incomodo. Qui riportiamo uno studio di una economista irlandese, Emma Clancy, che ha letteralmente “contato” il numero di raccomandazioni della Commissione Europea agli Stati Membri in merito ai tagli a varie voci della spesa pubblica. Qui il suo articolo “Disciplina e Punisci”.

Nel dettaglio: 105 per “Aumento età pensionabile – Taglio spesa pensionistica”; 63 per “Tagli alla spesa sanitaria – privatizzazione della sanità”; 50 per la riduzione di salari e stipendi; 38 per la “riduzione della sicurezza del lavoro e dei diritti dei lavoratori”; 45 per la riduzione dell’aiuto ai disoccupati, categorie svantaggiate e disabili.

E sarebbe clamorosa l’ipotesi che per il salvataggio di una Italia magari devastata, si chiamino in causa a furor di popolo coloro che hanno guidato, negli ultimi trent’anni, la distruzione del sistema costituzionale parzialmente affermatosi nel trentennio seguente al 1948. Come quel Mario Draghi, co-firmatario della famosa lettera che ha innestato il pilota automatico e tutto ciò che abbiamo descritto in questo articolo. Da non dimenticare (clicca qui).

Articolo di   per  RivieraOggi.it  del

 

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