Trasporti caos Corriere Web NazionaleMezzi stipati ma gli enti locali «proteggono» il monopolio sul territorio. Il caso dell’imprenditore Saija: offre i servizi a 735 Comuni, nessuna risposta.  L’Urss era quel posto dove lavoratori e mezzi erano tanti, ma restavano fermi. La domanda dei frutti del loro lavoro rimaneva insoddisfatta. E politici e burocrati discutevano per mesi, senza riuscire a far incontrare gli uni e l’altra. A Gabriele Saija, che ha 25 anni, le foto di bus e metrò affollati nelle città italiane durante le prime settimane del ritorno a scuola ricordano un po’ la storia sovietica che ha studiato a scuola. Saija nel 2018 aveva vinto un premio di Confindustria per la sua startup che fa nel trasporto privato in bus ciò che Uber fa con le auto. Era arrivato ad avere 16 dipendenti. E quando a marzo le prenotazioni si sono azzerate con la prima ondata virale, ha lanciato zeelo.co.it: offre bus privati con distanziamento, tracciamento, disinfezione e controllo di temperatura. Amazon e altre aziende lo stanno già usando. L’imprenditore ha anche scritto ai 735 comuni italiani sopra i 15 mila abitanti per offrire lo stesso servizio con oltre quattromila bus privati connessi. Poteva aiutare a ridurre l’affollamento, quando avrebbero riaperto le scuole. Risposte positive: zero su 735.

Sajia non è stato il solo a ricevere queste reazioni, spiega Riccardo Verona del Comitato bus turistici. In questi mesi molte coalizioni di imprese di trasporto privato, rimaste senza lavoro, si sono viste chiudere le porte in faccia da comuni e regioni. I mezzi pubblici sono rimasti spesso affollati oltre i limiti di legge; almeno 180 dei 300 milioni di euro stanziati dal governo per affittarli sono rimasti dormienti; migliaia di bus privati disponibili sono rimasti nelle rimesse, con i conducenti in cassa integrazione. L’Italia è giunta impreparata alla ripresa d’autunno e il virus ha ripreso a circolare.

La punta delle sette e trenta

Non era inevitabile. Già in aprile un rapporto, firmato da figure di spicco del comitato-tecnico scientifico (Cts) del governo come Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore di sanità e Sergio Iavicoli dell’Inail, indicavano i problemi e le scelte da compiere: «Emerge una criticità soprattutto per le grandi aree metropolitane relativa alla mobilità nelle ore di punta», si legge. I punti delicati sono già indicati in quel testo: servono, si osserva, «misure organizzative e di prevenzione per il contenimento della diffusione del contagio». In altri termini servivano più bus all’ora di punta del mattino — attorno alle sette e trenta — specie nelle aree di Roma, Milano, Torino, Venezia-Mestre e Genova. A maggior ragione perché il Cts dall’estate chiede che il riempimento dei mezzi non superi il 50% della capienza. Solo a fine agosto il governo arriverà a indicare un livello massimo di affollamento dell’80%, al termine di un estenuante negoziato con le regioni.

L’ordinanza della Regione Veneto

Ma in realtà queste ultime, che hanno poteri diretti sul trasporto pubblico locale, non sono mai state d’accordo. Un’ordinanza del 26 giugno della giunta veneta, a guida leghista, consente l’occupazione al 100% dei posti seduti e in piedi sui mezzi «in deroga all’obbligo di distanziamento». Il 27 giugno la Liguria, anch’essa in mano al centrodestra, permette i viaggi a pieno carico dei posti a sedere. Il 7 agosto la leghista Lombardia esprime «preoccupazione per l’obbligatorietà del distanziamento sui mezzi» e ricorda (correttamente) che tutte le regioni - anche quelle rette dal centrosinistra - sono della stessa idea.

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dall'articolo  di Federico Fubini  per Corriere.it

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