Contratti non rinnovati, paghe più basse d’Europa, enormi carichi di lavoro per mancanza di personale: lo sciopero degli infermieri d’Italia alle prese con la nuova ondata. «Siamo state le ultime persone che i pazienti Covid della prima ondata hanno visto prima di morire. Ci siamo ammalati. Alcuni colleghi sono morti. Quello che hanno fatto le istituzioni dopo 6 mesi di servizio è stato mandarci via a calci». È una parabola paradossale quella degli infermieri che hanno lavorato durante l’emergenza Coronavirus in Italia. Dai picchi di marzo fino all’ottobre rosso della nuova ondata, non hanno smesso di lavorare intensamente per limitare gli effetti mortali della Covid-19. Ma questi otto mesi di servizio al fronte non hanno portato a nessun cambiamento per la loro situazione: sono ancora pochi, ancora trattati come l’ultima ruota del carro, ancora sovraccaricati di lavoro. Per rispondere al telefono Paola (nome di fantasia) ha fatto fatica. Si è dovuta appartare un attimo perché la mole di lavoro non consente pause. È un’infermiera dell’Ospedale San Martino di Genova, che oggi ha oltre 60 pazienti Covid solo al Pronto Soccorso, dove lei è operativa. Sono trent’anni che fa questo mestiere, ma stavolta è diverso. «È uno scenario da guerra», dice visibilmente provata. «Facciamo turni di 12 ore, non riusciamo a stare dietro a tutti. Fa male vederli buttati in giro per i corridoi sulle barelle».
Racconta che per loro, gli infermieri, a livello psicologico è peggio della prima ondata, e non è raro vedere sanitari che scoppiano a piangere. «Non si vede la fine», dice. La situazione al 2 novembre è diventata insostenibile. Per cercare di attirare l’attenzione sulla questione, gli infermieri di tutta Italia hanno indetto per oggi uno sciopero nazionale. Si tratta, in realtà, di una manifestazione più che altro simbolica: in situazioni di emergenza come questa è quasi impossibile che i sanitari possano far valere il loro diritto allo sciopero (bisogna garantire l’organico nelle aziende ospedaliere). Una piccola percentuale di sanitari sta organizzando delle manifestazioni davanti agli ospedali – in numeri ridotti, così da non causare assembramenti – con lo scopo principale di sensibilizzare anche i cittadini. «Siamo eroi dimenticati – dicono- ma sempre in prima linea».
I numeri delle mancanze: un infermiere segue fino a 9 pazienti
«Il vero problema è trovare gli infermieri». Non avevano fatto giri di parole dal Policlinico di Milano nel fotografare la riapertura dell’Ospedale in Fiera, resasi necessaria per l’impennata dei ricoveri in Lombardia e il ritardo nella disposizione dei nuovi macchinari. La situazione al polo fieristico è solo la punta (mediatica) dell’iceberg: la mancanza di personale e di piani d’assunzioni riguarda tutto il territorio nazionale. A oggi, mancano 53 mila infermieri in tutta Italia, di cui 21 mila negli ospedali e 32 mila sul territorio. Ne mancano poi 17 mila di quelli previsti nel Dl Rilancio per affrontare l’emergenza Covid nelle terapie intensive.
In Lombardia i posti vacanti sono tra i 5 mila e i 10 mila, in Campania 12 mila, in Piemonte 3,5 mila, in Calabria 5 mila. Il problema, come accade già per i medici, è l’imbuto professionale: i concorsi sono fermi da tempo e l’organico degli ospedali pubblici fatica a ripopolarsi. L’emergenza Coronavirus ha avviato una serie di inserimenti straordinari, molti dei quali a tempo determinato: un reclutamento, come da ultimo quello della Protezione Civile, che ha pescato direttamente tra i neolaureati e i laureandi.
In questa situazione di incertezza e precarietà, trovare un infermiere che non voglia restare anonimo non è cosa facile. Giuseppe Aiello, però, insiste per metterci il nome. Attualmente è operativo in uno dei reparti Covid del Policlinico di Milano, ma da quasi 30 anni lavora nella Fondazione. Giuseppe può dire con certezza che l’organico di oggi è la metà di quello di 25 anni fa. «La coperta è troppo corta», dice. «La mia unità operativa ha 36 posti letto, e il rapporto infermiere/paziente è di 1 a 8. Noi siamo coinvolti nell’Ospedale in Fiera, ma a che serve aprire una nuova struttura senza personale specializzato?».
Non sono certo gli unici a fare i salti mortali: Enrico Boccone, segretario regionale della Liguria di Nursung Up (una delle sigle sindacali di categoria che promuove lo sciopero), che ha alle spalle quasi 20 anni di lavoro nei reparti di rianimazione, ha parlato di uno squilibrio insopportabile e ormai storico: nei reparti ordinari non Covid del San Martino di Genova si arriva anche al rapporto 1 a 30. Per quelli Covid in sub intensiva anche 1 a 8.
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dall'articolo di Giada Ferraglioni per Open.online