L'ex deputato: “Pronto a rimettermi in gioco”. Il ministro: "Limite ai 2 mandati sacrosanto". È un corpo a corpo con mosse strategiche quello tra l’ala governista del Movimento 5 Stelle, che oggi ha avuto l’appoggio del premier Giuseppe Conte, e l’ala guidata da Alessandro Di Battista. Tutto in diretta streaming nella giornata conclusiva degli Stati generali. Anche se il vero percorso, che dovrà cambiare lo statuto del Movimento, inizierà solo nei prossimi giorni. Intanto la kermesse ha regalato scintille tra Luigi Di Maio e l’ex deputato combat, un documento che ancora deve essere limato e votato, e una non decisione sul rapporto con la piattaforma Rousseau, che resta uno dei nodi da sciogliere. Il primo a parlare, per ragioni di ordine alfabetico, è Di Battista che torna in campo a tutti gli effetti e si candida per entrare a far parte dell’organismo collegiale che guiderà M5s. Avrebbe preferito che il partito venisse guidato da un capo politico, probabilmente da lui, ma a prevalere tra gli iscritti è stata l’idea di una segreteria politica formata da sette componenti. O forse anche di più perché i pretendenti da accontentare sono tanti e va dato spazio anche ai territori. E’ possibile che nella segreteria entreranno proprio i due che in questi giorni stanno duellando: Di Maio, che ha fatto sapere di essere in campo, e Di Battista. Quindi il più classico dei ritorni al passato, al tempo del direttorio. Ma la presenza dell’ex deputato, secondo alcuni ambienti pentastellati, non sarebbe ben vista da Paola Taverna, anche lei in corsa per un posto nell’organo collegiale, forse anche di primo piano.
In mattinata, in un post su Facebook, Di Battista aveva utilizzato toni decisamente più duri, rispetto a quelli del pomeriggio, chiedendo la pubblicazione dei voti che ciascuno dei 30 delegati oratori ha ottenuto. “Perché – dice - è giusto conoscere il peso specifico delle idee di coloro che sono stati scelti e per smetterla una volta per tutte di definire ‘dissidenti’ coloro che, su molti aspetti, hanno il solo torto di non aver cambiato opinione”.
Poi il tono dell’ex deputato è stato decisamente più mite anche se ha dettato le sue condizioni. Si sente pronto a tornare “in prima linea” in politica e forte del consenso di “tante persone” chiede ai vertici del Movimento 5 stelle e al governo “sei garanzie”, condizioni per un suo eventuale coinvolgimento: “Revoca definitiva della concessione ai Benetton e una presa di posizione chiara rispetto al tema dei conflitti di interesse”. Sul fronte interno vuole che venga messo nero su bianco che non vi sia nessuna deroga al limite del secondo mandato per consiglieri regionali, parlamentari, parlamentari europei. Ed è stato accontento a stretto giro dall’ex capo politico per il quale il limite dei due mandati “è sacrosanto”. Poi, alle prossime elezioni politiche, M5S dovrà candidarsi da solo e non appoggerà mai una legge elettorale senza le preferenze.
Ultima condizione “l’istituzione di un comitato di garanzia cui parteciperanno iscritti e portavoce, ma non membri di governo, che scriva regole chiare e trasparenti su tutte le nomine in tutti i ministeri e nelle partecipate di Stato”. È la sfida che Dibba lancia al fronte guidato da Di Maio con dentro Bonafede, Fraccaro, Crimi, Taverna, Lombardi, Spadafora, Roberto Fico e Stefano Patuanelli. E anche in questo caso il ministro degli Esteri è pronto a rilanciare: “Sulle nomine non dobbiamo farci male da soli. Siamo al governo, facciamo una legge per garantire nomine fatte con trasparenza e decise in base al merito”. Che tradotto significa che ci vorranno anni ma nel frattempo va incontro alla richiesta di Di Battista.
Ci sono ancora nodi da scegliere. Come il rapporto tra il M5S e la piattaforma Rousseau che cambierà ma, dagli Stati Generali è emersa una tendenza: la maggioranza non vuole troncare definitivamente con la “creatura” di Gianroberto e Davide Casaleggio. Alcune funzioni potrebbero essere internalizzate al M5S ma il voto online potrebbe restare. Bisognerà vedere come cambierà il rapporto economico. Di certo, come dice Luigi Gallo, portavoce della corrente Parole guerriere, “i cittadini devono poter incontrare il M5S in una sede fisica in ogni città e non affidarsi solo ad una piattaforma virtuale che da strumento digitale si è trasformato in strumento di potere in mano ad una sola persona”.
Poi è il turno di Roberto Fico. Il più esplicitamente a favore dall’alleanza con il Pd. Ma, da Luigi Di Maio a Vito Crimi si è sottolineato un punto: le alleanze non sono un tabù ma devono essere programmatiche. Tradotto: il tavolo per le alleanze alle Comunali ci sarà ma, alle prossime Politiche, il M5S corre da solo. Insomma, un modo per non rompere con l’ala guidata da Di Battista e scongiurare così la scissione.
Articolo di Gabriella Cerami per HuffingtonPost.it