san raffaele business del Covid 19Che il gruppo San Donato – 19 ospedali tra cui il San Raffaele, 1,65 miliardi di fatturato nel 2019 – non se la stia passando bene è più che evidente e gli indizi sono molteplici. C’è la recente frizione con Roberto Burioni, che al San Raffaele fa il ricercatore e che è stato sconfessato dal suo stesso ospedale perché ha osato dire che ci sarà anche la corsa al pronto soccorso, ma il numero dei morti non mente. Un dissociarsi che è parso strano, quasi incomprensibile, se non si riflette su un dato piuttosto semplice: il Covid non sta affatto arricchendo le casse del gruppo ma, al contrario, le sta impoverendo.  Come raccontava il Fatto giorni fa, la Regione Lombardia sta rimborsando sulla base dei budget del 2019, quando non c’era il Coronavirus, e questo nonostante le spese sostenute dagli ospedali per fronteggiare la pandemia siano decisamente superiori. Nel frattempo, le altre attività chirurgiche e prestazioni varie del San Raffaele e di altri ospedali del gruppo sono ridotte. Ma non solo. I famosi pellegrinaggi dal resto dell’Italia nelle cliniche dell’eccellenza lombarda sono vertiginosamente calati per la paura del Covid e i rimborsi per i pazienti fuori regione stanno venendo a mancare.  Insomma, il gruppo cerca di tamponare le perdite come può, anche con una comunicazione mirata a minimizzare l’emergenza. Da “il virus è clinicamente morto” a “Burioni non conosce la situazione perché non lavora in corsia”, è evidente che la linea sia quella di invogliare il meno possibile la popolazione a mettere piede in ospedale. E, naturalmente, si tenta di fare cassa offrendo servizi che dovrebbe fornire la sanità pubblica e che in Lombardia sono drammaticamente carenti, fin dalla prima ondata. I tamponi, tanto per cominciare. Che il gruppo San Donato fa pagare circa 90 euro, con una media di 1.000 tamponi al giorno. Il che fa circa due milioni e mezzo di euro al mese.

Ora però si è aggiunta una novità. La medicina territoriale in Lombardia non funziona? I medici di base sono disorientati, disarmati, impossibilitati a seguire tutti i pazienti malati a casa? Ci pensa il gruppo San Donato e il suo pacchetto per “l’assistenza domiciliare e diagnostica Covid 19”. Pacchetto che però viene eventualmente acquistato dopo un consulto telefonico o via video mediante la telemedicina dell’ospedale. Il solo consulto, udite udite, costa 90 euro e può durare la massimo 15 minuti. Giusto il tempo di dire: nome, cognome e un paio di sintomi.

Se il medico decide che il paziente va monitorato, il pacchetto per la diagnosi costa 450 euro e comprende un prelievo ematico, una radiografia toracica domiciliare, la misurazione della saturazione (costa meno comprarselo, il saturimetro, a questo punto) e un consulto medico a distanza finale. La cifra va pagata entro le 24 ore, anche tramite paypal. Un’efficienza davvero commovente. Il referto viene spedito a casa al prezzo aggiuntivo di 9 euro e le aree coperte sono Milano e alcuni comuni limitrofi. Insomma, un servizio di diagnosi, non di cura.

E la cura? Quella verrà proposta in un secondo momento, si suppone, e con spese aggiuntive. Insomma, un modo economicamente vantaggioso per svuotare i pronto soccorso e dirottare i possibili codici verdi su un numero telefonico a pagamento. A questo punto direi che la Regione Lombardia ha risolto il problema delle carenze della medicina territoriale. Una telefonata a 90 euro per 15 minuti di consulto ti salva la vita. Con altri 450 sai anche- forse – se hai il Covid. Un affare.

Io fornirei anche un paio di servizi aggiuntivi. Se vuoi parlare con Zangrillo tariffa raddoppiata e videoselfie con lui in omaggio. Magari potrebbero fare il “pacchetto tracciamento”: con 200 euro in più fanno una telefonata pre-registrata al nonno. Ci sarebbe da ridere, in effetti, se le ragioni per piangere non fossero così tante e così gravi. La Regione Lombardia che dice? E il ministro Speranza?

Articolo di Selvaggia Lucarelli  per TPI.it

You have no rights to post comments