raggi e appendino in campidoglio 834249 tnLa colonna sonora della rivincita di Virginia Raggi è il suono del cellulare che non smette mai di vibrare dopo mesi che è rimasto muto. La chiamano in tantissimi e in tantissimi inviano messaggi. Soprattutto del M5S: compagni di partito che devono levarsi di dosso l'immagine dei congiurati, grillini che scommettevano sulla sua condanna per aprire la strada a una possibile alleanza cittadina con il Pd. Sono quelli che «salgono sul carro del vincitore».  Troppo facile farlo ora, sostiene Raggi appena uscita dal tribunale, il volto rigato dall' emozione e la voglia di rivalsa da urlare ai microfoni. Il j' accuse non è improvvisato ma studiato parola per parola. E serve soprattutto a lanciare un avviso. Raggi infatti è pronta a candidarsi per un posto nell' organo collegiale che definirà la leadership del Movimento quando la tanto attesa competizione interna avrà luogo, forse a gennaio.  È il secondo tempo della sua personale sfida nei confronti di chi le ha fatto pesare solitudine e silenzi. I «tanti - dice - che dovranno riflettere». Non fa nomi, ma è evidente che punta alla classe dirigente del M5S, che non può non includere l'ex capo politico Luigi Di Maio e l'attuale reggente Vito Crimi, Paola Taverna e chi non l'ha sostenuta in anni di feroci conflitti cittadini e nazionali, di cause e lacerazione interne.

A loro si rivolge anche il suo capo staff, Max Bugani, in rotta con Luigi Di Maio: «Un caloroso e affettuoso saluto a tutti coloro che avevano sperato nella sua condanna».

La rivincita ha poi una coda di retrogusto malizioso.

Virginia Raggi risponde a due soli tweet dei tanti che la inondano di complimenti. A Chiara Appendino, sindaca di Torino, con cui ha condiviso le disavventure giudiziarie, finite però con esiti diversi. E a Carlo Calenda, un avversario per il Campidoglio, il più insidioso.

Non lo fa a caso, ma per una sorta di solidarietà tra reietti dei propri partiti e aree politiche, che li volevano fare fuori (anche se ai vertici dem e grillini sostengono che Calenda avrebbe preferito una intesa Pd-M5S per correre in solitaria contro di loro).

Tra le più grandi delusioni di Raggi ce n'è una recente.

Quando proprio Calenda denunciò che a un tavolo del Pd si scommetteva sulla condanna della sindaca per chiudere un accordo con i 5 Stelle, nessuno si prese la briga di smentire. Nessuno, soprattutto, tra i grillini. Certamente, il passaggio giudiziario sulla sindaca di Roma era atteso anche per capire che fine farà il fragile patto sulle grandi città sponsorizzato soprattutto da Di Maio, e con meno calore dal segretario dem Nicola Zingaretti.

La sua ricandidatura lanciata con largo anticipo ad agosto scorso, con relativo superamento del tabù del terzo mandato, aveva rotto uno schema. E non per nulla tra i più tenaci difensori che ieri hanno rivendicato la propria costante fiducia in Raggi, assieme a Stefano Buffagni, c'è Alessandro Di Battista, tornato a esultare con un messaggio chiaro: «Non vedo l' ora di sostenerti di nuovo come candidata al Campidoglio!».

Il voto è in primavera, sempre che il Pd non riesca a convincere il governo a spostare le urne a settembre con la scusa di una maggiore vaccinazione di massa. Ma finora in nessuna città sembra reggere la prospettiva di un' alleanza, tranne a Napoli, ma solo se il presidente della Camera Roberto Fico dirà sì alla candidatura. Negli altri capoluoghi si punta alla desistenza del M5S.

A Milano correrà Beppe Sala e contro di lui è già evaporata l' ipotesi di candidare Stefano Buffagni (lui stesso ha detto di non pensarci minimamente). Anche a Bologna il centrosinistra corre per vincere da solo. A Torino invece la situazione si è complicata. Solo una candidatura di sinistra non ostile al M5S potrebbe garantire una convergenza al secondo turno. Intanto Appendino, dopo la condanna a settembre e l' autosospensione dal Movimento, proprio ieri ha deciso di abbandonare la chat dei sindaci 5 Stelle.

Articolo di  Ilario Lombardo per LaStampa.it  da Dagospia.com

 

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