Da "condannato perché non poteva non sapere" a "non prendeva soldi per sè": negli ventesimo anniversario della morte tornano a circolare alcune false ricostruzioni sulle vicende giudiziarie dell'ex presidente del consiglio. Smentite dalle motivazioni delle sentenze. Secondo i giudici del processo All Iberian "significativamente" il leader del Garofano "non mise questi conti a disposizione del Partito", "la gestione non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi" e con quei soldi l'ex segretario seguiva "interessi economici innanzitutto propri". Quali? Nelle carte si parla di un appartamento a New York, soldi alla tv della Pieroni, una casa a Roma, intestata alla donna, operazioni immobiliari a Madonna di Campiglio, Milano, La Thuile.

 

Matteo Renzi sostiene che fu condannato solo perché “non poteva non sapere. Qualcun altro concede: lo hanno condannato, è vero, ma solo perché “prendeva i soldi per il partito“. E i partiti, tutti i partiti, “non rispettavano le regole”. O ancora, come ha scritto Giorgio Gori sul Foglio, perché “la rivoluzione dei giudici spazzò via gli assetti politici che avevano accompagnato l’Italia per cinquant’anni”. Non è solo una beatificazione quella che sta andando in onda su Bettino Craxi nel ventesimo anniversario della morte. Nella migliore delle ipotesi è una vera e propria censura delle vicende giudiziarie in cui fu coinvolto il leader del Partito socialista. Nella peggiore è una mistificazione della realtà: un tentativo di riscrittura della storia. Come se non si potesse valutare la carriera politica di Craxi, il suo “lato umano“, senza rimuovere completamente il fatto che fu tra i principali politici coinvolti e condannati in Tangentopoli.

Le condanne Per questo motivo, senza entrare nel campo dei giudizi politici o morali, è utile riportare la storia giudiziaria dell’ex presidente del consiglio. Per la verità, in certi casi, non servirebbe neanche quella per smentire alcune affermazioni. Per esempio a confutare quel “Craxi fu condannato col presupposto secondo cui non poteva non sapere“, pronunciato da Renzi qualche giorno fa, è stato lo stesso leader del Garofano. “Ero al corrente della natura non regolare dei finanziamenti al mio partitoL’ho capito da quando portavo i pantaloni alla zuava“, disse Craxi al processo Cusani il 17 dicembre 1993. Poi, il 19 gennaio del 2000, quando muore ad Hammamet, l’agenzia Ansa fa il riassunto dei conti con la giustizia dell’ex presidente del consiglio. È stato condannato per due volte in via definitiva per un totale di dieci anni di carcere: ha preso cinque anni e sei mesi per corruzione nell’inchiesta sulle mazzette Eni-Sai, e quattro anni e sei mesi per finanziamento illecito in quella sulla Metropolitana di Milano. Il primo caso risale al 1992 quando l’Eni guidata da Gabriele Cagliari e la Sai di Salvatore Ligresti si accordano per creare una società per assicurare tutti i dipendenti dell’azienda del cane a sei zampe. Per avere via libera pattuiscono una tangente da 17 miliardi ai partiticome ha ricordato di recente Marco Travaglio, a raccontarlo era stato lo stesso Ligresti al pm Fabio De Pasquale, spiegando di aver trattato personalmente con Cagliari e Craxi per il Psi e con Severino Citaristi, tesoriere della Dc. La vicenda della Metropolitana milanese, invece la raccontò al pm Antonio Di Pietro l’architetto Silvano Larini: “Dal 1987 alla primavera 1991, ho avuto modo di ricevere 7 o 8 miliardi e ogni volta… li ho portati negli uffici di Craxi in piazza Duomo 19, depositandoli nella stanza a fianco della sua. Posavo la borsa o il plico sul tavolo e la Enza (Tomaselli, la segretaria di Craxi, nda) lo ritirava.. Ero io a confezionare il pacchetto, utilizzando buste marroncine. A volte le posavo sul tavolo della segretaria, a volte le lasciavo sul tavolo della camera di riposo di Bettino”.

I processi estinti Al momento della morte Craxi aveva anche altri procedimenti in corso, che vennero poi estinti per “morte del reo“. Quattro procedimenti in totale, con tre che avevano già portato a condanne d’Appello: a tre anni per finanziamento illecito (la cosiddetta Maxitangente Enimont), cinque anni e cinque mesi per corruzione (tangenti Enel), cinque anni e nove mesi per il bancarotta fraudolenta (il conto Protezione, annullata in Cassazione e rinviata a nuovo processo di secondo grado). In primo grado, invece, Craxi era stato stato condannato – insieme a Silvio Berlusconi – il 13 luglio del 1998 per finanziamento illecito ai partiti nel primo processo All Iberian. Il leader di Forza Italia prese due anni e quattro mesi, l’ex leader del Psi quattro anni. I reati si prescriveranno in appello il 26 ottobre del 1999. Prescrizione poi confermata il 22 novembre del 2000 dalla Cassazione, che bocciò la richiesta di assoluzione di Berlusconi. Craxi, nel frattempo, era morto. La sentenza All Iberian, dunque, finisce in prescrizione ma i fatti provati all’interno del processo rimangono. Quali sono i fatti? Ventidue miliardi di lire versati dal conto All Iberian, riferibile alla Fininvest, a due conti esteri gestiti da uomini vicini a Craxi: il suo ex compagno di scuola Giorgio Tradati e poi l’ex barista di Portofino Maurizio Raggio. I miliardi contestati nel processo erano dieci, poi le rogatorie internazionali portanono a quantificarli in 22 in totale.

“Craxi ideatore e promotore dell’apertura dei conti” – Proprio nelle motivazioni di quelle sentenze, depositate il 6 novembre del 1998, i giudici Marco Ghezzi, Marilena Chessa e Paola Matteucci smentiscono alcune affermazioni fatte in questi giorni. “In termini soggettivi la responsabilità di Craxi è incontrovertibilmente denotata dal contributo causale apportato alla realizzazione dei fatti-reato come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi”, scrivono a pagina 52 della sentenza di condanna, poi prescritta. Dunque Craxi non è stato condannato perché “non poteva non sapere“, ma sapeva benissimo: era addirittura “ideatore e promotore” della creazione dei conti all’estero per raccogliere le mazzette.

I conti non confluivano in quelli del partito” – In più, continuano i giudici, non è vero che quei finanziamenti illeciti fossero solo per il Partito socialista. “La gestione di tali conti, come attestato da Tradati e Raggio, non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari, così da mettere in difficoltà lo stesso Balzamo (tesoriere del Psi ndr) che doveva dipendere dalle altrui indicazioni per ottenere di volta in volta gli estremi del conto da fare accreditare e per procedere alla successiva verifica del versamento effettuato”. Insomma: le tangenti versate da All Iberian non finirono direttamente nelle disponibilità del partito: addirittura il tesoriere del Psi doveva passare da terze persone – cioè i prestanome di Craxi – per poter accedere a quei soldi.

Soldi usati per interessi economici propri” – Terzo elemento: per cosa venivano utilizzati quei soldi? “Che tale contributo fosse finalizzato alla realizzazione di interessi economici innanzitutto propri è confermato dalle constatate modalità di gestione dei conti esteri interessati e di destinazione finale delle giacenze e di accertata utilizzazione di queste ultime (anche per sostenere proprie spese legali)”. In più, continua il tribunale, “si aggiunge che in questa sede è emerso, se non un intervento diretto, un costante ed attivo interessamento di Craxi in ordine ai finanziamenti pretesi senza mezzi termini per assicurare l’appoggio politico a grandi gruppi imprenditoriali”. Insomma: non solo Craxi sapeva, ma si informava continuamente della gestione dei conti. Che come detto non metteva a disposizione del partito: “Significativamente Craxi non mise questi conti a disposizione del Partito se non per soccorrere finanziariamente la Gbr, in cui coltivava soprattutto interesse ‘propri‘, politici e non politici“. La Gbr era il network vicino al Psi di cui faceva parte la televisione privata diretta da Anja Pieroni, che con Craxi aveva una relazione.

Articolo  per www.ilfattoquotidiano.it  18 GENNAIO 2020

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