poste mascherine 3 giorniTPI ha raccolto le testimonianze dei lavoratori delle Poste Italiane in varie parti d'Italia: "Ci faranno ammalare tutti, continuano a farci lavorare come se non succedesse nulla in Italia". E scoppia il caso di mascherine potenzialmente false distribuite dalla società.  “Ci faranno ammalare tutti, continuano a farci lavorare come se non succedesse nulla in Italia. Siamo la fanteria della prima linea, con mascherine monouso, ma imposte per tre giorni”. Chi parla è uno sportellista piemontese di Poste Italiane che si lascia andare ad uno sfogo sui social network. Assieme a molti altri lamenta che l’azienda dia in dotazione al personale più esposto, quello a più diretto contatto con la clientela, due sole mascherine la settimana, una ogni tre giorni di lavoro. Ma questo aspetto, quello del deterioramento del dispositivo di protezione individuale, rischia di essere fatto di poco conto, di passare in secondo piano. Perché il problema più grande, che forse tanti addetti allo sportello e relativi utenti nemmeno sospettano che esista, è che le mascherine distribuite da Poste Italiane ai propri lavoratori, secondo un consulente, sarebbero fake.  Nei giorni in cui viene pubblicato il rapporto sul terzo trimestre 2020 di Poste Italiane, con ricavi in aumento dello 0,8% e un utile netto al +10,3%, è sufficiente fare un giro nei gruppi Facebook nei quali si confrontano i dipendenti del gruppo per intuire che l’aria che tira tra gli sportellisti non è altrettanto positiva. 

A tenere banco sono soprattutto i distaccamenti, con un numero imprecisato di impiegati spediti come pacchi in altri uffici (quando si dice deformazione professionale): “Nel mio caso – spiega uno dei tanti – non sono quasi mai a lavorare nella mia filiale, quindi incontro sempre nuovi colleghi, e dunque il rischio, alla fine, non è che lo si stia cercando di contenere. Ok, ci dicono di evitare i contatti ma se io devo prendere le chiavi dell’ufficio da un’altra persona come faccio a evitare il contatto fisico con quella persona? Poi ci sono uffici di serie A e uffici di serie B, ci sono i totem, dove tutto è controllato e c’è un personale apposito che fa disinfettare le mani o aiuta gli utenti a rispettare le distanze in fila, e ci sono uffici in cui invece nessuno controlla niente; oppure in alcune sedi disinfettano due volte al giorno, in altre quando arriva la signora delle pulizie, che non è detto arrivi al cambio di turno, quindi chi arriva al tuo sportello spesso e volentieri non troverà una postazione disinfettata”. Stessa storia, stesse storie, un po’ ovunque lungo lo Stivale.

E poi ci sono le mascherine. Che non sono le stesse dappertutto e non vengono distribuite secondo un unico criterio. Ad esempio tra gli operai dei centri di smistamento, che non entrano in contatto con il pubblico, Poste Italiane distribuisce principalmente quelle chirurgiche, una volta al giorno. Altrove, in particolare al personale in trasferta, vengono fornite tre mascherine alla volta, con le quali fare i conti autonomamente nell’arco della settimana, in giro tra i vari uffici postali del territorio ai quali si viene via via assegnati. Infine ci sono gli sportellisti che lavorano abitualmente nella solita sede che ricevono due mascherine facciali settimanalmente.

Questo è il caso più ricorrente, dal Centro al Nord Italia. D’altra parte secondo la circolare interna n.58 del 06/04/2020 in materia di sicurezza sul posto di lavoro (ancora oggi in vigore e destinata al cosiddetto Mercato Privati) “si precisa che ciascuna mascherina ha un tempo di utilizzo di 3 giorni”.   In barba a tutto quello che ci è stato insegnato e caldamente raccomandato negli ultimi nove mesi (“i dispositivi offrono protezione dalle contaminazioni per un tempo di 6/8 ore di utilizzo continuativo, terminato il quale, sono da eliminare”), racconta ad esempio un impiegato dell’Abruzzo: “Io sono allo sportello e da noi funziona che dall’inizio della pandemia ci viene fornita una mascherina ogni 3 giorni, senza sapere dove e come conservarla, sul documento di valutazione dei rischi non c’è scritto”. Molto probabilmente non si trovano indicazioni perché – a rigor di legge – le mascherine non dovrebbero essere utilizzate per più di un turno lavorativo e quindi, di conseguenza, non esistono protocolli certificati per evitare il deterioramento del dispositivo di protezione personale nell’arco delle 72 ore. Così qualcuno per comodità se lo porta a casa (e magari continua a utilizzarlo anche al di fuori dell’ufficio) mentre a qualcun altro viene consigliato informalmente di riporlo all’interno di un foglio A4 che poi viene pinzato e abbandonato per dodici ore, fino al turno successivo, sul tavolo della postazione di lavoro.

Poste Italiane Aoze in dotazione agli sportellistiLa linea dei dirigenti con i quali i dipendenti si lamentano è chiara: c’è il plexiglass, ci sono le mascherine e le distanze di sicurezza, se vi infettate non potete che esservi infettati fuori. Poco conta che l’indice di contagio sia cresciuto enormemente nelle ultime settimane pressoché in tutta Italia o che in tantissimi denuncino che la distanza di almeno un metro non sia sempre praticabile, e comunque non in tutte le sedi. 
E infatti quando si verificano casi di positività in una filiale, non viene attivato nessun tipo di tracciamento: il positivo rimane a casa e l’ufficio viene sanificato ma tutti i colleghi ritornano normalmente a lavoro, senza sottoporsi a tampone a meno che non decidano di farlo a proprie spese e per scrupolo personale. Addirittura si continuano a fare i distacchi in uffici dove si sono registrati dei positivi, e in questo modo mappare il contagio diventa ancora più complicato, perché il personale coinvolto cambia di continuo.

Ma torniamo alle mascherine, che rappresentano senz’altro l’aspetto più opaco e fragile delle misure di contenimento del rischio biologico messe in campo da Poste Italiane per far fronte all’emergenza Coronavirus.  “Ho chiesto informazioni sulla provenienza di queste mascherine e sui certificati di conformità – spiega una nostra fonte – ma non ho ricevuto mai risposte”.  Nel corso di questi mesi, le mascherine in dotazione sono cambiate diverse volte, e in maniera differente da regione a regione. 
Tra le altre, vengono fornite le KN95 marca S. Sangso e le FFP2 marchiate Aoze. Entrambe cinesi.

Districarsi tra i miliardi di dispositivi facciali attualmente in commercio è davvero un rebus ma sicuramente c’è un dato incontrovertibile che può essere facilmente verificato grazie alle immagini che ci sono state fornite da alcuni dipendenti di Poste: sia le KN95 che le FFP2 distribuite nei nostri uffici postali agli addetti allo sportello, e cioè al personale a contatto – più o meno stretto – con il pubblico, non sono marchiate CE (ma, nel caso delle S. Sangso, Cina Export), non sono validate Inail (e cioè non figurano tra quelle autorizzate dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), non sono contrassegnate come monouso o riutilizzabili (R o NR) e non hanno il numero di notifica – di quattro cifre – che indica l’organismo che ha eseguito i test sul dispositivo.

Articolo di Giuliana Sias per TPI.it 
 

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