Anna Valle di Stefania DAlessandro via Getty ImagesSe la semplice segnalazione al social player di turno non dovesse bastare, le strade da percorrere possono essere tre.  Anna Valle è solo l’ultima in ordine d’apparizione a denunciare pubblicamente. Sulle pagine del Corriere l’attrice ha raccontato di essere stata vittima di un furto d’identità social: un profilo si spacciava per lei, raccoglieva da altri account scatti informali così da risultare più credibile, raccontava poi di essere malata, criticava i colleghi, contattava privatamente i follower dando informazioni inesatte sul proprio conto: un danno alla sua immagine che lei non riusciva ad arginare. Aveva avviato la procedura prevista da Instagram, ma era risultata una misura inefficace. Si era rivolta a carabinieri e polizia postale, ma anche in questo caso, raccontava al quotidiano, sembrava non fosse possibile uscirne. Dopo il clamore generato dalle sue dichiarazioni, il profilo fake è stato rimosso. Ma prima di lei una sorte simile è toccata a tanti altri personaggi noti. Nel 2017 dopo il terremoto di Ischia, un account che si spacciava per Carlo Conti rassicurava i follower: “C’è stata una lieve scossa. Tutto bene, lì è presente un mio amico, la situazione è tranquilla”. I danni all’epoca erano in realtà più gravi e il conduttore venne attaccato dagli utenti per dichiarazione in realtà non sue. “È stato superato limite della decenza. Ho fatto regolare denuncia ma non è successo niente” scriveva Fabrizio Frizzi denunciando un falso profilo che aveva persino postato foto della figlia Stella, tenuta dai genitori sempre lontana dai riflettori. Il giovane centrocampista della Roma Nicolò Zaniolo ha deciso tempo fa di cancellare l’account su Facebook: “Visto che ci sono persone che si spacciano per me lo elimino per non creare ulteriori dubbi”. Uno di questi profili aveva diffuso la notizia che fosse malato.

Gli account in questione non sono fanpage che nascono allo scopo di celebrare un idolo. L’intento è quello di trarre in inganno gli altri utenti, lasciando credere che si tratti effettivamente della persona imitata. Alle volte il raggiro assume i tratti del phishing: un tipo di truffa effettuata su Internet attraverso la quale un malintenzionato cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso. È capitato ad esempio che delle finte Chiara Ferragni promettessero soldi ai follower, vincitori di fantomatici concorsi, e chiedessero loro dei dati bancari per ricevere la somma, che ovviamente non sarebbe mai stata depositata. La spunta blu - che indica un profilo verificato dal social - dovrebbe impedire di cadere nei tranelli. Ma non tutti i personaggi noti la possiedono e non tutte le persone che si interfacciano col social prestano troppa attenzione alla sua assenza, nel dar credito a profili fake.

Non solo i vip - La pratica del furto d’identità non avviene solo ai danni di personaggi noti, ma può riguardare qualunque cittadino. E se per Anna Valle risulta più facile dare risalto a una smentita attraverso dichiarazioni sui giornali, per le persone meno note il passaggio potrebbe essere più complicato. Ma com’è possibile che tutto ciò accada? “Noi cittadini ci illudiamo che l’uso dei social avvenga a titolo gratuito, così ci vengono presentati, ma è una falsa idea” dice ad Huffpost Andrea Lisi, avvocato, esperto di diritto applicato all’informatica, “Sappiamo bene che in cambio dobbiamo accettare una cessione dei dati personali: del resto c’è un forte interesse economico sulle nostre identità da parte di questi social. E dal punto di vista giuridico, quando si parla di contratti a prestazione gratuita, le tutele per noi cittadini rischiano di essere molto meno efficaci. La tutela è più indirizzata tradizionalmente per il prestatore di questi servizi piuttosto che per gli utenti, che starebbero appunto approfittando di una presunta gratuità”.

Cosa fare quando si è vittima di profili fake - Questo non significa però che nel momento in cui subiamo un danno del genere non ci sia niente da fare per impedirlo. “Affermare di essere un’altra persona su Instagram viola le nostre Linee guida della Community e di conseguenza non è ammesso. Abbiamo un team dedicato che si occupa di gestire questo tipo di segnalazioni e di bloccare gli account in violazione. Non appena siamo venuti a conoscenza della presenza del profilo falso lo abbiamo rimosso” dichiara un portavoce di Facebook ad Huffpost. Seguire le linee guida non risulta però sempre efficace. Se la semplice segnalazione al social player di turno non dovesse bastare, le strade da percorrere possono essere tre, ci spiega l’avvocato Lisi: quella penale, civile o avviare un procedimento avanti al Garante della protezione dei dati personali.

Per quanto riguarda la strada penale, il reato ipotizzabile è quello di sostituzione di persona, punito dall’articolo 494 del codice penale con la reclusione fino ad un anno, procedibile d’ufficio. La giurisprudenza ha ammesso che il reato possa commettersi a mezzo internet, attribuendosi falsamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in errore gli altri fruitori della rete, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità, anche semplicemente l’intrattenimento di rapporti con altre persone o anche il soddisfacimento della propria vanità, ledendo così l’immagine della persona offesa. Accanto a questo reato, che è contro la fede pubblica, ci possono essere anche altri illeciti penali che si intersecano, come frodi informatiche (l’art. 640 ter recentemente introdotto nel nostro ordinamento indica espressamente “il furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti”).

“La responsabilità penale è personale” spiega l’avvocato Lisi “non posso agire penalmente nei confronti del signor Facebook se sono stato diffamato da qualcuno che si è appropriato del mio nome con un account e spesso è difficile risalire a chi si celi dietro quell’abuso”. Gli autori possono usare connessioni proxy, Tor, VPN (Virtual Private Network), IP dinamici o semplicemente scaricare software gratuiti che consentono di navigare con indirizzi IP stranieri: “Agendo penalmente si rischia dunque di fare un buco nell’acqua, ma posso intimare a Facebook di rimuovere quell’account agendo sul piano civilistico, basando la propria azione sui diritti fondamentali della persona”.

Sul piano civilistico, in questo caso sarebbe applicabile l’articolo 17 del decreto legislativo 70/2003 in recepimento della direttiva 2000/31/CE) che prevede la responsabilità del prestatore del servizio a informare l’autorità giudiziaria o quella amministrativa qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio. Quanto accaduto ad Anna Valle costituisce inoltre una violazione evidente del suo diritto al nome (art. 6 del codice civile). È poi applicabile il GDPR (general data protection regulation - regolamento UE 679/2016) che prevede proprio la sua applicabilità ai social provider esponendoli ad azioni dirette da parte degli interessati e anche a sanzioni applicabili nei loro confronti: si arriva sino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato mondiale annuo se la sanzione massima dei 20 milioni è troppo bassa in relazione alle dimensioni dell’impresa.

Quindi, la terza strada è quella del Garante della protezione dei dati personali. Lo strumento è azionabile inoltrando tramite raccomandata a/r (o PEC) una richiesta di accesso ai propri dati personali direttamente alla sede europea del social network, specificando la richiesta di tutti i dati che lo riguardano, informazioni, fotografie, profili aperti a suo nome e di conseguenza la cancellazione e il blocco del falso account e dei dati illecitamente inseriti. Il diritto è previsto dall’art. 7 del D.lgs 196/2003 e rafforzato dal nuovo Regolamento UE 679/2016, direttamente applicabile dal prossimo 25 maggio. In caso di mancato riscontro si può agire direttamente avanti all’Authority di protezione dei dati personali.

Le responsabilità dei social provider sono dunque precise, il problema subentra nella celerità di vedere applicato il proprio diritto. “Forse dovremmo cominciare a pensare che la dimensione che si trova sui social non è solo privatistica” dice Lisi, “Tutti questi servizi che ci vengono offerti stanno diventando servizi essenziali della nostra vita. Non c’è separazione netta tra digitale e reale. I social dovrebbero essere identificati come prestatori di beni essenziali. L’Unione europea dovrebbe cominciare a disciplinare questi rapporti facendo evolvere la loro connotazione giuridica privatistica verso una connotazione di natura pubblicistica”.

 Articolo di Silvia Renda  per HuffingtonPost.it

You have no rights to post comments