Le partenze sono in aumento, ma è sbagliato dire che il paese è al collasso. Chi sono i migranti che partono dalla Tunisia e cosa può fare l'Italia (che per ora sta sbagliando tutto). Stando a quanto riportato da certa stampa, al Viminale c’è chi pensa al momento dalla Tunisia vi sia “il rischio di un esodo tale da ricordare quello dall’Albania del 1991, un problema serissimo da affrontare”. Un paragone storico cosi fuorviante ed un’esagerazione del genere non fa onore, non solo a chi l’ha eventualmente pronunciata, ma anche solo pensata. Che la Tunisia stia affrontando un crinale molto complicato della sua storia recente è innegabile. Che nelle ultime settimane si sia registrato un incremento sostanziale delle partenze – con un’evoluzione problematica della logistica di tali partenze – in particolar modo dalle aree intorno a Zarzis, Sfax, Sousse e Nabeul e dalle isole Kerkenna lo è altrettanto. Che la Tunisia sia sull’orlo del collasso politico-economico sistemico che ha conosciuto l’Albania all’inizio degli anni Novanta, e che ha causato un’ ondata migratoria senza precedenti, quello è invece un tentativo alquanto maldestro di securitizzare ulteriormente una questione che dovrebbe essere invece gestita politicamente, e compresa nelle sue sfaccettature. Che sono molto più variegate di quanto gli italiani pensino.
La Tunisia oggi: crisi sì, collasso no
Queste narrative non aiutano i rapporti bilaterali: essere dipinti come un paese in via di disfacimento non è apprezzato a Tunisi, anche perché la Tunisia in effetti non è un paese in disfacimento. È un paese che, nel 2020, affronterà la peggior recessione della sua storia indipendente a causa del Covid-19. È un paese che nel corso degli ultimi 10 anni ha visto (non) crescere il suo Pil, con media annuale dello 0%, come notato dall’ex governatore della banca centrale giusto qualche settimana fa. Ma non uno stato in via di fallimento.
È un paese dove le conquiste democratiche post-2011 sono a rischio per la prima volta, e dove l’impatto della crisi economica del Covid-19 può portare a un ritorno di un autoritarismo più o meno palese. È un paese dove c’è un’ansia sociale marcata, che filtra e “esagera” le percezioni di paura e di instabilità. E questa ansia sta fomentando populismi vari: quello conservatore-sovranista, con vaghi richiami ad un pan-arabismo un po’ vetusto dell’attuale presidente Kais Saied, oppure i “populismi opposti” che stanno emergendo in questi mesi in Parlamento, con quegli attori politici nuovi estranei alla logica del consenso, che ha guidato le scelte di tutto il panorama politico tunisino nel corso degli ultimi dieci anni: il populismo nostalgico-modernista di Abir Moussi, la pasionaria benalista che sta emergendo sempre di più come idolo modernista contro gli islamismi vari ed eventuali che popolano il Bardo, e l’islamo-populismo dell’ambizioso e controverso avvocato Seiffedine Maklouf, passato dall’essere l’avvocato di molti membri di Ansar al-Sharia a leader di una nuova formazione islamista con venature radicali, la coalizione della Dignità.
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