Charlie Hebdo mette il Sultano in mutandeLa prima pagina di Charlie dà fuoco ai rapporti diplomatici. La "fatwa" di Erdogan non intimorisce Parigi. Stravaccato, in mutande, con una birra in mano Recep Tayyip Erdogan è intento a scoprire il Profeta sotto il velo di una formosa cameriera che sorride con le chiappe in vista. “In privato è simpatico”, dice il titolo di Charlie Hebdo. Ecco, ci risiamo, in francese si dice “surenchère”, è il rilancio dei blasfemi di Parigi contro il presidente turco. La crisi diplomatica tra Ankara e Parigi si surriscalda, ieri a Dacca, capitale del Bangladesh si dava fuoco alle fotografie di Emmanuel Macron e al tricolore francese. Oggi la prima pagina di Charlie dà fuoco ai rapporti diplomatici. Erdogan si dice offeso non per “l’ignobile attacco alla sua persona, ma per l’insulto al Profeta”. Difficilmente ci sarà una risposta del governo francese. Il presidente Macron ha parlato l’altro giorno ai solenni funerale del professor Samuel Paty decapitato da un giovane ceceno proprio per aver mostrato in classe le vignette di Charlie: “Indietro non si torna”.

Il presidente ha incarnato nell’occasione la solennità e il mito francese incassando la solidarietà di Angela Merkel e poi dell’Europa intera: “Continueremo, per la libertà e la ragione. In Francia i lumi non si spegneranno mai. Insegneremo l’humour, la distanza, il rispetto dell’altro”. Liberté, fraternité e caricature. Ora si deve capire che effetto avrà sul mondo arabo l’appello di Erdogan al boicottaggio dei prodotti francesi, la sua personale fatwa che già Le Monde, nell’edizione di oggi, paragona a quella pronunciata nel 1990 da Khomeini nei confronti di Salman Rushdie autore dei Versetti satanici. Ma quello era un regime teocratico, l’ayatollah era un’autorità religiosa sull’intero mondo sciita. Ieri un giornale iraniano ha pubblicato in prima pagina una vignetta che raffigura un Macron satanizzato, orecchie a punta e occhi infernali. Da caricatura a caricatura.

Ma ben diverso è il karma di Erdogan. Le Monde, nell’editoriale di ieri ha definito il presidente turco un “sultano piromane”. Le relazioni tra i due paesi sono tese da più di un anno per Siria e Libia, la Turchia ha compiuto incursioni nel Mediterraneo orientale, tra la Grecia e Cipro, Parigi ha inviato in risposta aerei da guerra a sorvolare l’area.

Secondo gli analisti francesi il presidente turco tende a moltiplicare i conflitti esterni per apparire ai turchi come l’artefice di una nuova potenza ottomana, mentre l’economia turca è in crisi, la moneta crolla e il progetto di rivoluzione culturale perde velocità e la repressione contro gli oppositori cresce. Dopo la Siria, la Libia, l’Iraq e il Mediterraneo orientale, Erdogan si è fatto sentire anche in Caucaso a fianco dell’Azerbaidjan nel conflitto del con l’Armenia nel Karabach. E sono in programma test missilistici di difesa aerea con gli S-400 acquistati da Putin in violazione degli accordi Nato.

Ma c’è anche qualcosa di specifico nell’irritazione turca nei confronti della Francia. Il progetto di legge annunciato da Macron contro il separatismo religioso prevede di intervenire anche sulla presenza degli imam insegnanti di turco nelle scuole pubbliche francesi. Un progetto dal sensibile effetto non solo simbolico.

Quindi c’è molto più delle caricature, il rapporto tra la Francia e il mondo arabo passa attraverso i sei milioni di musulmani che vivono sul suolo francese e ugualmente sui business consolidati con le élite del Golfo. Chirac nel 2003 tenne la Francia fuori dall’offensiva di George Bush e Tony Blair contro Saddam Hussein. Ancora nel 2015 il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu fu inviato da Erdogan a Parigi l’11 gennaio 2015 a sfilare in piazza de la République per l’omaggio ai vignettisti di Charlie uccisi quattro giorni prima. Allora la Turchia e la maggior parte dei paesi arabi laici avevano considerato quella strage un attacco all’Islam. Davutoğlu era in prima fila, accanto a Hollande, Merkel, un passo più avanti di Matteo Renzi. Anche oggi la Turchia è in prima fila. Chi le andrà dietro?

Articolo di  Cesare Martinetti per  HuffingtonPost.it 
 

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