Per gli attivisti l’articolo 24 è indigeribile: multe fino a 45mila euro e un anno di prigione per chi diffonde immagini di agenti. Sullo sfondo la Torre Eiffel, mentre in una place du Trocadéro stracolma si canta “Liberté-Liberté” contro la nuova “legge bavaglio” del presidente Emmanuel Macron. A Parigi e in altre città francesi si manifesta così contro il testo sulla “sicurezza globale” presentata dal governo e adottato ieri sera in prima lettura all’Assemblea nazionale. Il progetto, che vede tra i relatori l’ex capo delle teste di cuoio, il deputato di En Marche Jean-Michel Fauvergue, è diventato in quest’ultima settimana il simulacro della lotta per la libertà d’espressione in Francia, opponendo il binomio sicurezza-informazione. A far scattare la polemica è stato soprattutto l’articolo 24, che condanna con una multa di 45mila euro e un anno di prigione la diffusione di immagini di agenti o militari che possono “minacciare la loro integrità fisica o psichica”. In altre parole, i giornalisti e semplici cittadini non potranno più filmare o fotografare i poliziotti in azione per preservarli da eventuali rischi di ritorsioni. Un provvedimento richiesto da tempo dai sindacati di polizia, che ha provocato la rivolta di molti media, ma anche dell’opposizione di sinistra e delle ong attive nella difesa dei diritti dell’uomo, mettendo in forte imbarazzo una buona parte della maggioranza dopo il sostegno ricevuto dal Rassemblement di Marine Le Pen.
“In questo modo non ci saranno più casi come quelli di George Floyd (l’afroamericano morto soffocato a Minneapolis durante un arresto) o di Benalla (guardia del corpo di Macron ripreso mentre aggrediva dei manifestanti). Grazie alle immagini è stato possibile almeno far uscire questi episodi, ma con la nuova legge si firma un assegno in bianco ai poliziotti” spiega Yannick, 32 anni, venuto con un’amica. “Le violenze da parte della polizia ci sono, è un dato di fatto. Durante le manifestazioni dei gilet gialli cominciate nel 2018 abbiamo visto manifestanti perdere occhi o mani per colpa della polizia. Vietare di riprenderli significa negare una simile situazione”, aggiunge, mentre la piazza continua a riempirsi.
Se lo ricorda bene Pierre, camionista di 47 anni venuta appositamente dalla Normandia con il suo gilet d’ordinanza, lo stesso già indossato più e più volte durante le tante manifestazioni dei mesi scorsi. “Mi sono fatto un fermo di 70 ore per violenza su pubblico ufficiale, ma alla fine sono stato rilasciato grazie a dei video che erano stati girati in quei momenti che mi hanno scagionato. Lo ha riconosciuto anche il giudice”, ricorda con un sorriso di sfida. “Filmare un poliziotto non significa certo mettere la sua integrità fisica o psichica in pericolo, anche perché siamo noi cittadini a pagargli lo stipendio”, aggiunge poi, mentre altri compagni lo raggiungono, tutti gilet gialli.
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