Un vero umanesimo integrale parte dalla difesa integrale della vita. In ogni momento. Il pontificato di Papa Francesco oggi compie sei anni e si avvia ad essere storico quanto quello di Wojtyla. Mentre quello di Ratzinger viene collegato dalla gente alla sua rinuncia (considerazione che infastidisce assai i fan di Papa Benedetto) per quello di Bergoglio non si sa bene da che parte cominciare visti quanti sono i gesti memorabili e le sue "prime volte". Dalla ricezione del sacramento della confessione davanti a tutti da parte di un Papa, alla riduzione allo stato laicale di un cardinale (McCarrick), all'inizio di un Giubileo non a san Pietro ma in Africa (Bangui).
Anche il modo di nominare i cardinali: no a quelli di Milano, Venezia o Los Angeles, sì ad Ernest Simoni, prete di più di novant'anni condannato dal regime di Enver Hoxha a passare gran parte della sua vita ai lavori forzati nelle fogne di Scutari. Fino allo stendere la mano all'islam non fondamentalista al condannare la pena di morte. Tutti ricordiamo il "chi sono io per giudicare un gay" pronunciato sul volo di ritorno da Rio nel 2013.
Violenza di genere e violenza di credo
Poi ci sono state, per esempio, le non meno forti affermazioni che assimilavano la violenza a padre Jacques ai femminicidi perpetrati da tanti battezzati cattolici.
"A me non piace parlare di violenza islamica, perché tutti i giorni quando sfoglio i giornali vedo violenze, qui in Italia: c'è quello che uccide la fidanzata o la suocera, e questi sono violenti cattolici battezzati. Se parlassi di violenza islamica dovrei parlare anche di violenza cattolica?”.
L’accusa che alcuni cattolici rivolgono al Papa è quella di fare un gran caos, di impedire di vedere l’unità della Chiesa.
Papa Francesco sta semplicemente facendo vedere i problemi che tutti sapevano esserci ma che non si volevano guardare: lo scisma silenzioso che riguarda tutte quelle famiglie che un tempo si definivano "non regolari", il problema della comunione ai divorziati risposati, la pedofilia dei preti.
Ma, se devo dire in poche battute quale sia la vera novità di questo pontificato, direi che è la fine del "mondo cattolico".
Per i sentieri della Galilea
Papa Francesco non mette in crisi "i valori non negoziabili" (pur non chiamandoli mai così) ma mette alla pari la difesa della vita al momento dell'inizio o della fine con quello di ogni altro momento dell'esistenza: il cristiano deve difendere il feto come il forestiero che arriva sui barconi, il malato terminale come il condannato a morte.
Per Bergoglio i peccati commessi sotto le lenzuola sono meno importanti di quando gli esseri umani distruggono la diversità biologica nella creazione di Dio (Laudato Si, n. 8) o del gettare cibo avanzato, prendere bustarelle, o "venerare la dea lamentela" (Incontro coi seminaristi, 6 luglio 2013).
Cosa ha fatto Papa Francesco di così destabilizzante da spingere i Catholically Correct a leggere ogni sua parola, ogni suo gesto, come parola e gesto di minaccia e di confusione? Ha ricordato che siamo cattolici perché “universali”, che siamo di tutti perché siamo di Cristo, il galileo.
Ci ha ricordato che Gesù ci precede in Galilea – così dice il vangelo – e che la Galilea, lo spiegano gli esegeti, è la terra “fuori”, la terra di chi non è “puro puro”.
Dopo sei anni di Papa Francesco il “mondo cattolico” non esiste più. E non sto pensando a gruppi o a nomi e cognomi: sto pensando a una Weltanschauung, a una concezione della vita, a un modo di vedere le cose.
Per un cattolico il “mondo cattolico” non esiste perché il mondo cattolico è il mondo.
E se oggi il Papa ci parla tanto di periferie è perché ci siamo fatti l’attico in centro, abbiamo barricato la nostra vita apostolica, la nostra vita di fede, la nostra vita, al centro, ai primi posti, ai posti dei primi, e l’abbiamo arredata di lucidi principi non negoziabili, di adamantini “non prevalebunt”, di specchiati valori inalienabili.
Ma Gesù non aveva case, cose, su cui posare il capo, Gesù non era la tavola vivente delle leggi ma è la parola di Dio.
Non ci sono abbastanza leggi giuste per esprimere la giustizia di Dio. Non ci sono abbastanza opere di misericordia per esprimere l’amore di Dio.
Non c’è abbastanza vita per vivere eternamente.
Ci vuole Gesù in ogni minuto, in ogni gesto, in ogni iota della legge, per potersi dire di Cristo.
Una vita di regole, principi, valori, seppur col bollino cristiano, non fanno un cristiano.
Ci vuole Cristo. Non ci sono idee, per quanto esattamente virgolettate e copia incollate, che possano farci cristiani.