Fermiamoci a osservare i fatti: è bastato che i giornali online forzassero una dichiarazione della ministra Dadone (sai che novità quando parlano i 5 Stelle) per mettere in agitazione il piano nobile di Palazzo Chigi, al punto che poco dopo la stessa ministra doveva correggere il tiro, rinviando alla mediazione di Conte ogni decisione su una possibile uscita dei 5S dal governo in caso di approvazione della riforma Cartabia senza sostanziali cambiamenti. Dunque, l’eventuale fuga del Movimento dall’attuale maggioranza è un evidente problema, anche se – nel caso si realizzasse davvero – non basterebbe ad impedire l’approvazione di una legge quadro sulla Giustizia. E se i parlamentari pentastellati se ne andassero all’opposizione sarebbe il liberi tutti, con il via libera non agli emendamenti migliorativi, bensì a quelli peggiorativi della norma. Un assaggio lo si è visto proprio ieri, quando Forza Italia ha tentato di infilare nel testo il depotenziamento dell’abuso d’ufficio, che non c’entra nulla con il progetto della stessa Cartabia. Allo stesso tempo, su tavolo altrettanto importante del Recovery Plan, il girotondino Enrico Costa (già berlusconiano, poi con Alfano, ora con Calenda e domani chissà) ha aperto un nuovo fronte per provare a smontare la legge Severino. Perciò, otterranno anche poco, ma senza i 5 Stelle la riforma della Giustizia diventerebbe un incubo per chi ha un briciolo di valori della legalità, mentre per tutti gli altri sarà una festa.
Ora è chiaro che di fronte a un compromesso che toglierà qualcosa alla legge Bonafede, la reazione più ovvia è di mandare tutti a quel paese, e di mettersi a gridare alla luna mentre i ladri fanno razzia nel pollaio. Ma fare politica, e soprattutto portare a casa dei risultati, è un’altra cosa, e quindi prima di minacciare il ritiro dei ministri e lasciare campo libero, va capito bene cosa si può salvare. In tal senso nei giorni scorsi scrivevo che “chi molla la riforma Bonafede è complice”, e non cambio idea, ma se si trovasse l’accordo su una ventina dei 917 emendamenti presentati dai parlamentari del Movimento molti degli effetti della norma scritta dall’ex guardasigilli M5S si salverebbero, a partire dai tempi ben più congrui per non far finire i processi in prescrizione.
La proposta della Cartabia, pur migliorata dopo il primo vaglio in Consiglio dei ministri, prevedendo appena due anni in Appello e uno in Cassazione prima dell’improcedibilità (e cioè del perdono), di fatto è una gigantesca amnistia mascherata, con la particolarità di poter essere approvata senza che i promotori ci mettano la faccia nel dire agli italiani che stanno mandando a casa migliaia di delinquenti. Sullo spirito della riforma Bonafede, perciò, non si può cedere, ma se si arrivasse a una legge che ne fa salvi i princìpi fondamentali, più che alle bandierine della politica sarà utile pensare agli interessi degli italiani, che sono quelli di avere una giustizia giusta, processi veloci e con questa riforma anche il via libera europeo alla tranche dei finanziamenti del Recovery Plan dedicata al potenziamento dei tribunali e delle cancellerie.
In questo quadro, un atteggiamento decisamente responsabile è quello manifestato da Conte e Di Maio, accusati ingiustamente di essere pronti a bersi di tutto pur di restare azionisti del governo Draghi. A differenza di chi sta esprimendo sui Social una comprensibile delusione per una riforma della Giustizia che equivale a due passi indietro piuttosto che uno avanti, adesso però la cosa più utile è vedere le carte sul tavolo, ricordando agli altri giocatori che si può anche andar via se la partita è truccata. E in questa fase non perdere la concentrazione, distratti da amici e avversari. Sia gli uni che gli altri sono infatti assai pericolosi.
I primi, per esempio, senza averle ancora viste stanno definendo “inutili” le correzioni che lo stesso Draghi e la Cartabia hanno detto di voler valutare. Si tratta di intenzioni serie o di un misero bluff? Dirlo al buio è un azzardo, anche se in base alle partite precedenti il calcolo delle probabilità non favorisce il premier e la sua ministra. Ma allo stesso tempo bisogna stare vigili con gli avversari, in quanto siamo nella situazione ideale per quei bari che con manine abili possono approfittarne per riempire la Giustizia di spazzatura. Ieri ne abbiamo visto uno, tale Pierantonio Zanettin, non a caso sconosciuto ai più, che dai banchi dei berluscones ha cercato di cambiare un pezzo del codice penale. Se la diga si rompe, questi non li tiene più nessuno.
Articolo / editoriale di Gaetano Pedullà per LaNotiziaGiornale.it