Mario Draghi, Andrea Orcel e Banca Mps: a volte ritornano. Da alcuni giorni il Montepaschi è di nuovo al centro della scena politico-economica: dopo mesi di voci mai confermate, Unicredit è infatti uscita allo scoperto e ha annunciato di voler acquisire – a determinante condizioni – la banca senese di cui lo Stato è azionista al 64% tramite il ministero dell’Economia. Il centrodestra ha sollevato la questione conflitto d’interessi, evidenziando come il presidente di Unicredit, Pier Carlo Padoan, sia ex ministro dell’Economia ed ex deputato del Pd, eletto proprio a Siena, seggio ora vacante per il quale si è candidato il segretario dem Enrico Letta. Quasi nessuno, invece, ha rimarcato un altro intreccio cruciale in tutta questa storia: quello che riguarda, appunto, il presidente del Consiglio Draghi e l’amministratore delegato di Unicredit Orcel. Riavvolgiamo il nastro e andiamo al 2007, un anno determinante (in senso negativo) per Mps.
A novembre la banca senese, all’epoca guidata dal presidente Giuseppe Mussari, annuncia l’accordo con gli spagnoli del Banco Santander per l’acquisizione di Banca Antonveneta a 9 miliardi di euro (più 7 miliardi di euro di debiti). Quell’operazione segnerà l’inizio della fine per Mps. Appena un mese prima, infatti, Santander aveva comprato Antonveneta dall’olandese Abn Amro per una cifra assai più bassa: 6,6 miliardi di euro. I problemi vengono a galla nel 2012, quando si scopre dei rischiosissimi contratti derivati Santorini e Alexandria sottoscritti dal management di Siena per coprire i buchi di bilancio causati dalla disastrosa acquisizione di Antonveneta. Nel novembre 2019 Mussari è stato condannato insieme ad altri alti dirigenti della banca per falso in bilancio e aggiotaggio.
Che c’entrano in tutto questo Draghi e Orcel? Ebbene, nel 2007 Draghi era governatore della Banca d’Italia e autorizzò formalmente la famigerata operazione Mps-Antonveneta nonostante la evidente sproporzione di prezzo.
“L’operazione venne compiuta nell’entusiasmo dei grandi media, della comunità finanziaria e delle autorità politiche e di governo”, ha ricordato in una recente intervista su TPI l’economista Emilia Brancaccio, che in quel 2007 era nel consiglio di amministrazione di una banca del gruppo Mps (Banca Toscana) e fu tra i pochi a opporsi all’acquisizione di Antonveneta. “Tra i favorevoli c’era anche Draghi. L’intero sistema era pervaso da un liberismo viscerale”.
Anche un banchiere navigato come Cesare Geronzi ha sottolineato la colpevole cecità di Draghi in quel frangente decisivo: “Non doveva consentire a Mps di combinare quei pasticci”, ha dichiarato tempo fa in una intervista a Panorama.
E Orcel? L’attuale amministratore delegato di Unicredit nel 2007 era alla guida della divisione global markets & investment banking nella sede londinese della banca d’affari Merrill Lynch. E fu proprio lui il regista delle operazioni di vendita di Antonveneta prima a Santander (a 6,6 miliardi di euro) e poi (appena un mese dopo, a 9 miliardi) a Mps.
Fu Orcel il mediatore della trattativa fra Mussari e lo spagnolo Emilio Botin, fondatore e grande capo del Santander, che aveva bisogno di liquidità per finanziare l’acquisto di Abn Amro insieme a Royal Bank Scotland e Fortis.
Quattordici anni dopo, il banchiere romano – noto anche come “il Ronaldo della finanza” – è pronto, alla guida di Unicredit, a mettere le mani su Mps, che nel frattempo non si è mai ripresa dal crack. Ma Orcel vuole garanzie: per cominciare, niente crediti deteriorarti e niente rischi legali. Unicredit, insomma, dovrà solo guadagnarci.
Orcel dovrà trattare con il ministero del Tesoro, azionista della banca senese, ma si interfaccerà certamente anche con Draghi, che oggi siede a Palazzo Chigi e che non potrà esimersi dal dire la sua sul dossier. A far discutere sono le condizioni che reggeranno l’accordo tra lo Stato e Unicredit, dal prezzo della vendita agli esuberi del personale. Mario, Andrea e Mps: a volte ritornano.
Articolo di Enrico Mingori per TPI.it