È il nuovo idolo dell'establishment politico-finanziario italiano. Quando parla tutti si spellano le mani e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. I veri derivati di Draghi però sono altri: i titoli tossici sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, quando fu Direttore generale del Tesoro. Il futuro dei giovani, di cui ora si riempie la bocca, è pregiudicato proprio dalle sue scelte (di Alessandro Di Battista). “A rischio il futuro dei giovani. Bisogna dar loro di più”. E ancora: “Privare i giovani del futuro è una grave diseguaglianza”. Perbacco, che pensieri sagaci, che riflessioni acute e visionarie! Chi avrà mai pronunciato parole così profonde? È stato Mario Draghi, il nuovo idolo dell’establishment politico-finanziario italiano, dal palco dell’ultimo meeting di Comunione e Liberazione. Ho ascoltato attentamente il suo intervento. Draghi non ha detto nulla di rilevante eppure, commentatori, editorialisti e politici hanno descritto il suo intervento come il discorso del secolo, pari, forse, solo all’I have a dream di Martin Luther King. “Ascoltate Draghi” si è raccomandato Gentiloni. Probabilmente avrebbe voluto aggiungere “e convertitevi alla religione della finanza” ma i democristiani non dicono mai tutto quel che pensano. Giuliano Ferrara ha definito Draghi il “migliore degli uomini di Stato”. Le uscite di Ferrara hanno una loro utilità, ci aiutano a capire da che parte stare. Generalmente la parte giusta è quella dove non sta lui. Anche molti politici hanno fatto a gara per vincere il premio “draghiano dell’anno”. Questa competizione tra conformisti è partita già da alcuni mesi e continuerà ancora per molto, senz’altro fino a che non si eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica. Il 25 marzo scorso, in pieno lockdown, Draghi rilasciò un’intervista al Financial Times in cui sostenne la necessità di aumentare il debito pubblico per proteggere economia e lavoro.
Quando erano i populisti ad attaccare la logica del pareggio di bilancio in Costituzione e a sostenere interventi a debito in tempo di crisi l’establishment scherniva tali argomentazioni. Ma quando parla Draghi tutti si mettono sull’attenti, agli ordini, con la lingua di fuori e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. Draghi è come il TAV, le grandi opere inutili, l’asservimento a Washington o il finanziamento pubblico a Radio Radicale: riesce a mettere d’accordo Renzi e Salvini. “La lettera di Draghi al Financial Times andrebbe letta e imparata a memoria” ha commentato Renzi. “Grazie Draghi per le sue parole. Benvenuto, ci serve il suo aiuto” ha aggiunto Salvini.
Nell’eterna gara ad arruffianarsi il potere che conta i politicanti nostrani vogliono arrivare tutti primi. Draghi può dire tutto ed il contrario di tutto ma quel che conta per il sistema di potere italiano non è quel che dice ma quel che ha fatto. È ciò che ha fatto che galvanizza gli Elkann, i De Benedetti ed i Benetton, che unisce Sallusti e Scalfari, Forza Italia ed il PD, che tranquillizza Confindustria e tutta l’élite del capitalismo finanziario europeo. I derivati di Draghi si stanno moltiplicando. Li trovi nei partiti che dovrebbero essere a lui antitetici, nei salotti della Roma bene, nelle redazioni dei giornali che un tempo difendevano gli interessi della collettività ed, ovviamente, nei CDA delle banche d’affari.
Tuttavia ci sono altri derivati che andrebbero menzionati: i derivati di Stato, una valanga di titoli tossici molti dei quali sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, ovvero nei 10 anni in cui Mario Draghi fu Direttore generale del Tesoro. “La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore” diceva Malcolm X. E allora ricordiamola la storia. Draghi divenne Direttore generale del Tesoro durante l’ultimo governo Andreotti e venne confermato anche dai governi Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi, D’Alema I e D’Alema II, Amato II e Berlusconi II. Un uomo per tutte le stagioni.
Appena uscito dal Tesoro, nel 2002, venne nominato Vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi al mondo. Anche i due Direttori generali del Tesoro arrivati dopo di lui, ovvero Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, “curiosamente”, vennero assunti da altre due banche d’affari appena terminato il loro incarico pubblico. Il primo, nel 2006, divenne managing director e Vicepresidente di Morgan Stanley. Il secondo, nel 2014, addirittura Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Pare una legge della natura, appena finisci di dirigere il Tesoro, ovvero il dipartimento più importante del Ministero dell’economia, trovi subito un lavoro strapagato in qualche banca privata.
Il Direttore generale del Tesoro occupa un ruolo apicale. È colui che elabora ogni tipo di iniziativa economica, finanziaria e monetaria all’interno del MEF. È colui che sa sussurrare all’orecchio del Ministro dell’economia quel che s’ha da fare. Soffermiamoci sulle date: 12 aprile 1991, il giorno in cui Draghi inizia a dirigere il dipartimento del Tesoro e 29 novembre 2011, quando Grilli termina il mandato da Direttore e diventa Viceministro e poi Ministro dell’economia sotto Monti (anch’egli consulente di Goldman Sachs) prima di accasarsi in JPMorgan. 20 anni di acquisizione da parte dello Stato di titoli derivati emessi anche dalle banche d’affari appena citate.
Il divino Draghi ha diretto l’acquisizione da parte della Repubblica italiana di titoli speculativi che hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, arricchito le banche private ed impoverito le casse dello Stato. È difficile avere cifre esatte su queste operazioni. Sull’acquisto di derivati perdura un sostanziale segreto di Stato come per la strage di Ustica. In effetti la verità farebbe male. Farebbe male a quei tecnici strapagati, con curricula di tutto rispetto, usciti dalle migliori università del pianeta, che inorridiscono quando il popoluccio si interessa di questioni che vanno oltre il calcio mercato, che tuttavia sono stati capaci di farci perdere miliardi di euro e che adesso sognano persino di sedersi al Quirinale, supportati da una classe politica che non può far altro che restare in silenzio avendo la bocca tappata dalle mani ossute di centinaia di scheletri negli armadi.
Le scelte dei cosiddetti esperti, di quelli bravi alla Draghi le stiamo ancora pagando. A Rimini l’apostolo ha deliziato la platea di ciellini con un concetto davvero strabiliante ovvero la distinzione tra debito buono e debito cattivo. Quello buono è il debito produttivo, il cattivo è quello improduttivo. Però. Anni di “studi leggiadri e sudate carte” hanno prodotto ragionamenti sensazionali. A questo punto è lecito domandarsi se i debiti contratti dallo Stato con le banche d’affari dovuti all’acquisto di derivati siano debito buono o debito cattivo. Quel che è certo è il coinvolgimento del nuovo stupor mundi, Mario Draghi da Goldman Sahcs.
Nel 1994 il Tesoro siglò un accordo quadro con Morgan Stanley che aveva al suo interno una clausola capestro che avrebbe permesso all’istituto finanziario di New York di chiudere unilateralmente i contratti sui derivati. Morgan Stanley la esercitò nel 2011, in piena tempesta finanziaria per l’Italia, ed ottenne dal governo Monti il pagamento, sull’unghia, di 3 miliardi di euro di interessi sui titoli derivati. In quegli anni, Giacomo Draghi, il figlio di Mario, faceva carriera proprio in Morgan Stanley. Mentre lo Stato trasferiva miliardi di euro alle banche d’affari che avevano guadagnato sui derivati, Monti e Fornero portavano in Parlamento provvedimenti sanguinolenti che avrebbero colpito pensionati, lavoratori e malati. Sì, malati.
Nel 1998, un anno dopo la sottoscrizione in UE del Patto di stabilità che ha dato il via alla stagione dell’austerità, in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007 erano 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 sono scesi a 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati. Sono gli effetti delle privatizzazioni. E chi è stato uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni in Italia? Mario Draghi. Fu Draghi, a cavallo dei governi Prodi e D’Alema, ad adoperarsi affinché i Benetton acquistassero dall’Iri ad un costo irrisorio la Società Autostrade.
Oggi fa appello al senso di responsabilità. Parla di speranza, di futuro. Un futuro che i giovani vedono pregiudicato anche dalle sue scelte e questo la pubblica opinione italiana ha il dovere di ricordare. Nel 2005 Draghi lasciò Goldman Sachs per sedersi sulla poltrona più prestigiosa di Palazzo Koch. Fu sempre lui, stavolta da Governatore di Bankitalia, ad autorizzare Monte dei Paschi di Siena ad acquistare Banca Antonveneta, al triplo del suo valore, dal Banco Santander. I debiti contratti da MPS per questa scellerata operazione sono buoni o cattivi? Beh, dato che in buona parte sono stati coperti da denaro pubblico saranno stati certamente debiti buoni.
Draghi non è cambiato, non si è convertito all’interesse generale, non ha preso coscienza delle perversioni del liberismo. D’altro canto un capitalista finanziario è per sempre. Semplicemente vuole fare il Presidente della Repubblica e per arrivare al Quirinale è disposto persino a guidare un governo di unità nazionale (Dio ce ne scampi) se gli venisse richiesto. Nel suo cassetto, oltre ai sogni presidenziali, ha abiti da “amico del popolo” che proverà ad indossare nei prossimi mesi consapevole che la nuova mise verrà magnificata dalla stampa di regime. Ma sotto il vestito, per gli interessi degli ultimi, ancora una volta, non ci sarà niente di buono.
Come nulla di buono conteneva la letterina che il 5 agosto del 2011 Draghi ed il Presidente uscente della BCE Jean-Claude Trichet inviarono all’Italia per chiedere quelle riforme strutturali (macelleria sociale) che da lì a poco Monti avrebbe realizzato. Le ricette richieste con quella lettera sono quelle di sempre: privatizzazione dei servizi (sanità inclusa), contrazione dei salari, taglio della spesa pubblica e assoluta fedeltà al Patto di stabilità. Quel Patto di stabilità che Draghi inizia a mettere in discussione sapendo che qualche critica all’Unione Europea è strategica per spostarsi dalle colline dei Parioli al colle più prestigioso di Roma. Il sistema mediatico è con lui. Gran parte del sistema politico è con lui. Dalla sua ci sono le banche, le istituzioni europee, i grandi gruppi di potere, il clero più influente.
Ma, come disse Abraham Lincoln: “La pubblica opinione è tutto”. Sta al Popolo italiano combattere l’amnesia collettiva a suon di informazione. Si ricorderanno i cittadini come venne dipinto Monti nei primi mesi di governo. Monti che accarezza un cane, Monti che parla il francese, Monti che non fa il bunga-bunga, Monti che indossa il loden come nessuno. Quando l’establishment glorifica qualcuno il Popolo dovrebbe temerlo. Draghi è osannato, incensato quando non dice nulla, ossequiato perché è potente, ringraziato ininterrottamente per il Quantitative Easing, come se i soldi che la BCE ha messo sul piatto per comprare titoli pubblici dei paesi dell’UE li avesse tirati fuori direttamente lui.
Distratti dalle palle di giornali e politici e dalle palle che rotolano negli stadi deserti non riconosciamo più chi pregiudica, davvero, i nostri interessi. Siamo persino disposti a consegnarli le chiavi di casa. Seguiamo in modo ossessivo la degenza di Briatore ma non badiamo ai danni economici fatti acquistando derivati con i soldi nostri. Draghi, mascherato da tecnico, ha nel corso della sua carriera, preso o indotto a prendere scelte politiche che si sono rivelate fallimentari per gli interessi degli italiani. Lo Stato italiano ha stipulato negli ultimi 25 anni contratti derivati per 150 miliardi di euro e dal 2011 ad oggi ha pagato di interessi 35 miliardi di euro*.
Ormai da settimane politici particolarmente inclini alla dittatura del vincolo esterno sostengono che i 36 miliardi del MES siano indispensabili. Non si esprimono, tuttavia, sui 35 miliardi di interessi pagati per aver sottoscritto titoli finanziari convenienti solo per le banche. D’altronde, in molti casi, ciò coinciderebbe con un’ammissione di colpevolezza. Oggi, questi stessi politici, desiderano ardentemente l’arrivo di Draghi tanto da spellarsi le mani quando costui apre bocca. Ma è noto, quelli come Draghi danno buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio quando le pubbliche opinioni dimenticano il loro cattivo esempio.
* Fonte Dataroom di Milena Gabanelli.
Articolo di Alessandro Di Battista per TPI.it