Confindustria lancia l'allarme e chiede più immigrati da mettere alla guida. Ma i motivi della carenza sono più profondi. Chi è nel campo la mette così: “Il nostro è un mestiere che ti costringe a mangiare quando non hai fame e a dormire quando non hai sonno”. Anche per questo, ma non solo per questo, si fatica sempre di più a trovare persone disposte a farlo. Anita, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese di autotrasporto, ha lanciato sul Sole24Ore l’allarme sulla carenza di camionisti che rischia seriamente nei prossimi mesi di ripercuotersi sulla capacità delle aziende di rifornirsi di beni, inclusi quelli di prima necessità. L’associazione che fa capo a Viale dell’Astronomia si è appellata all’esecutivo guidato da Mario Draghi per inserire nel prossimo Decreto Flussi il settore dell’autotrasporto: si tratta del provvedimento con il quale il Governo periodicamente stabilisce le quote di ingresso di cittadini extracomunitari per motivi di lavoro subordinato, autonomo e stagionale. Secondo Confindustria, insomma, per ovviare alla mancanza di autisti di veicoli commerciali, una misura tampone potrebbe essere quella di inserire una quota ad hoc per il settore specifico (e non per tutto il comparto della logistica, come già avviene) che permetta di reclutare personale straniero disposto a lavorare sui mezzi pesanti.
I giovani italiani senza lavoro, verrebbe da pensare, non vogliono fare un mestiere che li terrebbe lontani dalla famiglia per settimane, sulla strada per molte ore di fila e li costringerebbe a dormire nell’abitacolo in condizioni poco confortevoli. In realtà, le ragioni sono più complesse e nemmeno un decreto flussi ad hoc sarebbe risolutivo nel breve e medio periodo, come riconosciuto dalla stessa associazione confindustriale.
“Premesso che già attualmente metà dei camionisti è di origine straniera, con la Romania che fa da serbatoio di manodopera nel campo, la carenza di autisti di veicoli commerciali è un fenomeno che registriamo da tempo, non certo da oggi”, dice all’HuffPost Guido Rossi, direttore di Astra Trasportatori Associati. “Le ragioni di questa carenza sono almeno tre. Prima tra tutti: i costi di accesso”. Per guidare un mezzo pesante infatti serve una patente e una carta di qualificazione del conducente (CqC) per le merci. “Se un ragazzo vuole diventare operaio, va sul cantiere e impara il mestiere, per un camionista non è così”. I costi per ottenere la documentazione necessaria per lavorare possono variare da regione a regione, ma in media per ottenere la patente e la CqcM i prezzi si aggirano intorno ai 4500 euro, a volte anche qualcosa in più. “L’esame non è semplice da superare, bisogna studiare, ma è chiaro che i costi da sostenere all’inizio prima di intraprendere il mestiere possono rivelarsi proibitivi per molte persone”.
I prezzi praticati da autoscuole e motorizzazioni per patenti e Cqc fungono in altre parole da barriera d’accesso alla professione e sono uno dei motivi all’origine della carenza di lavoratori nel comparto, una tendenza che si protrae da più di un ventennio. Da quando, cioè, lo Stato ha sospeso il servizio militare di leva. Non a caso molti camionisti - ma anche gli autisti più anziani impiegati nei trasporti pubblici locali - hanno ottenuto patente e cqc sotto le armi, quando c’era da guidare i mezzi militari, ovviamente senza sostenere gli alti costi oggi richiesti per poter guidare i mezzi pesanti. “Certo, c’è anche un aspetto culturale e questa è la seconda ragione per cui questa carenza di camionisti è in costante aumento”, prosegue il direttore di Astra. “Come in tanti altri campi, anche nel nostro settore vediamo una perdita di interesse per i lavori cosiddetti manuali. E questo nonostante nel settore dell’autotrasporto, la fascia di aziende di media qualità offrono un alto livello di contrattualizzazione e di stabilità lavorativa, ovviamente al netto di sacche di illegalità presenti in tutti i settori dell’industria”.
C’è poi una terza ragione, elenca Rossi, dietro la mancanza di autisti di mezzi pesanti che interessa, ovviamente ma indirettamente, lo stile di vita a cui sono costretti i lavoratori. “Con l’introduzione dei regolamenti Ue validi in tutta Europa sui tempi di guida e di riposo si è provato, col sacrosanto intento di tutelare i lavoratori, di salvaguardarne la salute e la sicurezza. A distanza di anni dall’adozione le norme si sono rivelate un boomerang, anche per gli autisti stessi”. Oggi chi guida un camion è registrato da una sorta di scatola nera, il cronotachigrafo digitale che tiene conto di ogni attività dell’autista: quando guida, quando è fermo, quando riposa, e via dicendo. “Ma questo sistema, nobile nelle intenzioni, ha finito per scaricare le inefficienze dell’intera catena logistica sull’ultimo anello, quello appunto dell’autotrasporto”. Se un contenitore da caricare sul tir subisce un ritardo nei tempi di scarico, le ore perse dall’autista andranno a impattare sull’intera organizzazione del suo viaggio, facendo slittare ore di riposo e di guida. “Gli operatori internazionali che gestiscono la catena logistica si disinteressano di queste norme, per cui alla fine i ritardi e le inefficienze si ripercuotono tutte sul camionista”. Non solo: se l’autista si trova vicino casa o nei pressi di un punto di ritrovo, un tempo poteva recarsi lì per riposarsi. Oggi, a causa delle norme stringenti, capita sempre più spesso che debba fermarsi per dormire a orari non appropriati e in posti per nulla attrezzati alla sosta. Perché il cronotachigrafo registra tutto e se le ore di guida e riposo non combaciano con quelle prestabilite dalle norme, scatta l’inevitabile sanzione. E poi le infrastrutture, strade e autostrade, specialmente in Italia, non versano in condizioni particolarmente brillanti.
“Se la merce viene caricata alle 20, e non alle 16 come previsto, al guidatore è saltata completamente tutta la sua tabella di marcia”, dice Rossi. “Il vero problema è come rendere più efficiente tutta la filiera logistica dal punto di vista organizzativo, anche attraverso la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione, senza scaricare i ritardi sempre sui soliti, sui camionisti. E sia chiaro, il mio non è un invito ad abbandonare le tutele per i lavoratori, oggi inquadrate in norme europee piuttosto cervellotiche, ma a riflettere se siano sufficientemente efficaci”.
La difficoltà nel trovare camionisti non riguarda solo l’Italia ma è un problema occidentale. Negli Stati Uniti la concorrenza tra le aziende dell’autotrasporto è alta, i camionisti molto ricercati e i salari in aumento eppure l’American Trucking Association (Ata) stima una carenza di 100mila lavoratori entro il 2023. La Gran Bretagna, anche a causa Brexit, è alle prese con le stesse difficoltà. Una penuria che ha radici profonde e non certo nuove, ma che non si può certo pensare di risolvere con un Decreto Flussi e lavoratori provenienti da paesi esotici.
Articolo di per HuffingtonPost.it