Draghi si è concesso un’esibizione di debolezza come fosse un atto di superbia, ammettendo il logoramento, tra Colle e Covid. Nessun Quirinale, niente. Meglio nessuna parola che tante parole per non dire niente. E però la domanda sul Quirinale non è stata un’assenza, ma una cancellatura, un frego, la traccia di una gomma che Mario Draghi, come il Cristo Cancellatore di Emilio Isgrò, ha strofinato subito sulle bocche dei giornalisti lanciando un’occhiata circolare o meglio, come direbbe Camilleri, una rapida taliàta torno torno: «questa conferenza stampa riguarda soltanto…e io dunque non risponderò».
Pur con qualche nuova ruga attorno agli occhi e con il collo ormai completamente ricacciato dentro al colletto bianco, la conferenza stampa “in difesa”, il catenaccio da “abatino” e il tono dimesso da condannato al patibolo del governare non si addicono a Mario Draghi, che aveva presieduto il consiglio dei ministri il giorno 5 ed è rimasto nascosto al mondo per 100 ore, riunito in conclave, consegnato alle ruminazioni di chi lo accusa di avere perso il tocco. «Non è vero che Draghi non decide» è l’esibizione di debolezza che si è consapevolmente concesso come un atto di vera superbia, ammettendo che logorato lo è davvero dalla vigilia quirinalizia troppo lunga, e con il covid accucciato sotto il tavolo, non come l’angelo della storia di Benjamin, ma come il diavolo della storia: «Avevo sottovalutato le critiche, me ne scuso e spero che questa conferenza stampa sia stata riparatoria».
Non aveva mai parlato così, Mario Draghi.
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dall'articolo di Francesco Merlo per Repubblica.it