Con due possibili sbocchi: un rimpasto per strappare qualche poltrona in più nel governo, come emerso dalla risoluzione poi ritirata, o tornare alle elezioni. Per carità, tutto legittimo. Ma di sicuro la trama è stata realizzata sotto traccia, visto che nel frattempo Salvini professava lealtà al numero uno di Palazzo Chigi, da porre in essere al momento opportuno con tanto di maldestro tentativo di addossare le responsabilità agli altri. La traccia da seguire è quella degli investimenti, sempre molto massicci, fatti su Facebook e Instagram: in tre mesi la Lega ha speso la bellezza di 44.080 euro, di cui 10.193 soltanto nell’ultimo mese. La pagina persona del segretario, Matteo Salvini, ha messo a disposizione dei post sponsorizzati 18.746 euro nell’ultimo trimestre e più di 4 mila solo nell’ultimo mese. Una macchina di propaganda a pieni giri che ha il sapore della campagna elettorale. E che si è fermata solo nell’ultima settimana, quando è stata aperta la crisi di governo con le dimissioni del premier.
Ma cosa sostenevano i leghisti? Il bersaglio preferito è stata la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, responsabile, secondo i messaggi diffusi a pagamenti sui social, di non gestire gli sbarchi. La titolare del Viminale era accusata, testualmente, di “non fare nulla” sulla gestione dell’immigrazione. Il testo, messo a corredo, non lascia grosso spazio a interpretazioni: “Immigrazione incontrollata oppure regole chiare? E tu, da che parte stai? Assistere allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini senza far nulla oppure far rispettare le leggi? Tu da che parte stai?”.
Chiedendo di scegliere tra Salvini e Lamorgese. Una comunicazione in linea con quanto affermato dal senatore leghista, Stefano Candiani, durante le dichiarazioni di voto a Palazzo Madama: “Avremmo voluto avere parole di certezza riguardo all’immigrazione incontrollata che continua sulle nostre coste”. Così il parlamentare, tanto per ribadire il concetto, ha definito “inadeguata” la ministra dell’Interno. Niente di nuovo, anzi tutto secondo il copione previsto nei mesi scorsi sui social quando era iniziata la campagna elettorale strisciante. Con lo scopo, manco a dirlo, di contrastare il forte calo nei sondaggi e l’ascesa dell’alleata-avversaria, Giorgia Meloni.
Altro capitolo di spesa social è arrivato con la battaglia contro la riforma della cittadinanza ai cittadini stranieri e alla legalizzazione della cannabis, su cui la Lega – ancora una volta – ha messo in discussione l’alleanza di governo. Mentre il mainstream mediatico costruiva la narrazione di un Giuseppe Conte pronto a tradire il patto dell’ormai ben nota “unità nazionale”, dall’altra parte, la pagina ufficiale della Lega ha speso risorse importanti soprattutto per promuovere i referendum sulla Giustizia che, guarda caso, rappresentavano una mina sul cammino del governo. E l’esplosione non c’è stata solo perché i cittadini hanno largamente ignorato la consultazione con un’affluenza lontanissima dal raggiungimento del quorum.