Per Di Maio il salvagente di un posto nel Pd. Sinistra e Verdi alzano la voce«Ma ora che fai con loro?». La domanda di Carlo Calenda a Enrico Letta arriva dopo la stretta di mano. Il leader di Azione, incassato il sì alla sua proposta, quella di non presentare negli uninominali né ex forzisti, né ex pentastellati né i leader della «sinistra dei no», chiede al segretario del Pd come farà a rendere digeribile lo schema a Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli. «Me ne occupo io, è una mia responsabilità...», replica il segretario del Pd. E a stretto giro di posta esce un comunicato che è, in realtà, il corollario dell’accordo a due con Azione: coloro che sono incandidabili nei collegi uninominali perché «divisivi» potranno godere, se vogliono, di un «diritto di tribuna» offerto dal Partito democratico. Ovvero, per essere chiari: potranno essere candidati nella posizione numero uno di un listino del Pd in un collegio proporzionale.

È «un’offerta», spiegano al Nazareno. Ma è anche un ultimatum. E lo è so- prattutto per Luigi Di Maio. La sua situazione diventa scomodissima. Il partito nuovo di zecca presentato appena lunedì, Impegno civico, è stimato al momento tra l’1 e il 2% e lontano dalla soglia di sbarramento del 3%. Il leader e ministro degli Esteri si trova al bivio: salvare se stesso e al massimo un altro esponente di Ic (Spadafora?) correndo sotto il simbolo del Pd, oppure provare il disperato assalto al 3% alla guida della lista appena costituita. Nel primo caso, lancerebbe a chi l’ha seguito nella scissione dal M5s (e sui territori) un messaggio chiaro: Ic, appena nata, già sfiorisce. Ma il rebus è doppio, per Di Maio: perché una lista che raccoglie più dell’1% torna comunque utile alla coalizione. E allora, il ministro degli Esteri potrebbe trovarsi nella contraddittoria posizione di candidarsi in un posto blindato sotto la bandiera del Pd e allo stesso tempo fare campagna elettorale per una lista, Impegno civico, che mette in bella evidenza il suo nome. Ci sarebbero anche una terza e quarta via, per Di Maio. La terza, quella di rifiutare l’offerta di «tribuna » del Pd per se stesso e provare a contrattare nella coalizione qualche collegio uninominale da assegnare a suoi fedelissimi di secondo piano. La quarta: come Articolo 1, Demos e Psi, chiedere l’annessione nel listone proporzionale 'Democratici e Progressisti', provando a ricavare qualche posizione in più. Tutte ipotesi sondate ieri pomeriggio alla Farnesina tra Letta e Di Maio (la scelta della location è stata ritenuta inopportuna dal centrodestra), sulla quale il ministro deciderà oggi dopo aver consultato i vertici di Impegno civico.

Il problema che ha Di Maio non ce l’ha invece Bruno Tabacci, detentore del simbolo di Centro democratico che consente al ministro degli Esteri di presentare una propria lista senza raccogliere le firme. Essendo stato 'draghiano di ferro', Tabacci può correre in un collegio uninominale. Il «diritto di tribuna» è stato invece rifiutato da Bonelli e Fratoianni, che con la lista Sinistra italiana - Verdi sono stimati sopra il 3%. E tuttavia, la giornata di ieri per loro è stata tutta in negativo. L’accordo Pd-Calenda pare sbilanciare la coalizione al centro. Ma Letta è intenzionato a farsene carico con un nuovo «gesto di generosità». D’altra parte, Si e Verdi, se anche andassero in extremis con il M5s, parteciperebbero con ancora meno garanzie alla divisione dei seggi.

Articolo di  Marco Iasevoli  da  AVVENIRE.it

 

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