Ieri vi abbiamo raccontato che la Russia che secondo alcuni intelligentoni non aveva problemi con COVID-19 perché curava i malati con l’Abidol in realtà sta vivendo una situazione di grandissima difficoltà, con 10mila casi al giorno e il consenso di Vladimir Putin che scricchiola. Ma il Giappone in stato di emergenza fino al 31 maggio è lo stesso che doveva curare COVID-19 con l’Avigan? Oggi esaminiamo il caso di un altro “Miracolo dell’Internet”, ovvero quello del Giappone che aveva “il farmaco che cura il Coronavirus” (cioè l’Avigan) e quindi tutto andava alla grande da quelle parti. E invece anche i medici giapponesi, nonostante un numero complessivo di contagi apparentemente molto ridotto rispetto ad altri Paesi, sono alle prese con una lunga ed estenuante battaglia contro il nuovo coronavirus, nonostante il blocco della circolazione determinato dallo stato di emergenza, prolungato dal governo fino al 31 maggio. L’ospedale universitario St. Marianna di Kawasaki è stato uno dei primi in Giappone a convertire parti della sua unità’ di terapia intensiva (ICU) in letti per persone affette dal nuovo coronavirus e, da quando l’epidemia ha raggiunto il Giappone per la prima volta a febbraio, Shigeki Fujitani, professore e direttore di medicina d’urgenza e di terapia intensiva presso l’ospedale, ha messo in guardia che si sarebbe trattato di un problema dai tempi molto lunghi. “Continuiamo la nostra battaglia da più di tre mesi”, ha dichiarato Fujitani durante l’ennesima intensa giornata in ospedale.
“Penso che ci sono molti professionisti che stanno già avvertendo una notevole quantità di stress… la nostra sfida da ora in poi sarà quella di alleggerire questo stress e continuare a combattere con un’ottica di lungo termine”.
I casi segnalati di coronavirus in Giappone hanno superato i 15.000 e più di 500 persone sono morte. A livello globale, oltre 246.000 persone sono morte a causa del virus. Fujitani ha affermato che un’estensione dello stato di emergenza potrebbe aiutare a frenare le nuove trasmissioni del virus, ma i test estesi stanno rilevando sempre più casi nascosti. Altra preoccupazione, sempre secondo Fujitani, è quella di riuscire a mantenere una fornitura adeguata di dispositivi di protezione individuale come maschere N95 e tute protettive. “Stiamo affrontando una situazione in cui non sappiamo quando gli N95 diventeranno scarsi. Se altre strutture dovessero fronteggiare un focolaio o altre prefetture iniziassero ad utilizzarne di più, i nostri mezzi diventeranno di colpo insufficienti”. E non è tutto. Perché intanto anche l’isola di Hokkaido, la prima area del Giappone a dichiarare lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus, è di nuovo sotto i riflettori come caso di studio per il rischio che un lockdown troppo breve possa condurre a una seconda ondata di contagi. Hokkaido aveva dichiarato lo stato di emergenza il 28 febbraio, dopo che nella regione erano stati accertati 66 casi di Covid-19. Le autorità locali avevano chiesto la chiusura di scuole, ristoranti ed esercizi commerciali e di evitare gli assembramenti. Le prime misure avevano dato risultati incoraggianti, tanto che i nuovi casi di contagio giornalieri erano crollati, e già a metà marzo il governo locale aveva deciso di revocare le restrizioni. La prefettura aveva permesso il ritorno degli studenti a scuola a partire dall’inizio di aprile, negli stessi giorni in cui il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, dichiarava lo stato di emergenza per Tokyo, Osaka e altre cinque prefetture, preludio allo stato di emergenza a livello nazionale.
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dall'articolo di Alessandro D'Amato per NextQuotidiano.it