studi scientifici a pagamentoLa giungla delle pubblicazioni scientifiche a pagamento non si ferma neanche davanti alla pandemia di Covid-19.  La prestigiosa rivista scientifica Nature ha pubblicato ieri lo studio condotto a Vo’ Euganeo da Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova, e da Ilaria Dorigatti, del Mrc Centre for Global Infectious Disease Analysis dell’Imperial College di Londra. L’indagine, intitolata “Suppression of a Sars-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’”  si è concentrata su uno dei primi focolai di Coronavirus in Italia. A garantire sulla qualità del lavoro, oltre ai curricula degli autori, è anche il prestigio di una rivista scientifica certamente tra le più famose del mondo.  Nei mesi dell’esplosione della pandemia, tuttavia, le pubblicazioni scientifiche sul Covid-19 sono state numerosissime e non sempre la qualità e il valore delle ricerche veniva garantita dalle riviste su cui erano pubblicate. Anzi, esistono riviste che hanno fatto della pubblicazione degli studi scientifici a pagamento un vero e proprio business e che non si sono fermate neanche durante l’emergenza Coronavirus, arrivando a chiedere il corrispettivo in sterline di quasi 3.300 euro agli autori di studi sul Covid-19, come TPI ha potuto documentare.

 

La pratica delle pubblicazioni predatorie (predatory publishing) è un fenomeno già noto, legato al sistema Open Access, che garantisce la massima circolazione degli studi online, nel rispetto delle norme sul diritto d’autore. Alcune riviste hanno però trasformato questo sistema in un business, permettendo così la “compravendita di titoli scientifici da parte di chi punta a fare carriera universitaria aumentando le proprie pubblicazioni – è proprio il caso di dirlo – ad ogni costo. Dall’altra parte, questo fenomeno svilisce anche quei medici in prima linea che normalmente non si dedicano alla ricerca o lo fanno saltuariamente (e quindi non ambiscono a pubblicare sulle riviste più note) ma che durante l’emergenza Covid-19 hanno voluto dare il loro contributo raccogliendo dei dati e pubblicandoli. Per loro, la richiesta di sborsare somme simili è un paradosso.

A testimoniare questa pratica è una cardiologa che lavora in un piccolo ospedale del Nord Italia e che chiede di rimanere anonima. La chiameremo Giulia. “Con la pandemia la nostra attività è decisamente cambiata e ci siamo trovati ad aiutare gli specialisti più direttamente coinvolti”, racconta la cardiologa a TPI. “La riduzione dell’attività lavorativa diurna (c’è stato un crollo come noto degli accessi in Pronto Soccorso) ha portato alcuni di noi, meno oberati di lavoro, a cercare di dare un contributo anche dal punto di vista scientifico alla causa Covid-19, studiando e raccogliendo dati e casi da pubblicare per aiutare una maggior diffusione delle notizie mediche”.

Giulia ha contribuito pubblicando alcuni case report, ma è rimasta molto stupita quando si è trovata davanti un mondo di riviste meno note, ma presenti su PubMed, che le hanno chiesto costi di pubblicazione al limite dell’estorsione. “Sono arrivati a chiedermi il corrispettivo in sterline di quasi 3.300 euro”, racconta la cardiologa, che ci mostra le email ricevute dall’editor della rivista Journal of Cardiology Case Report. L’importo del contributo, specifica Giulia, non è stato messo in chiaro dall’inizio, ma le è stato comunicato solo dopo che lei ha inviato il suo studio per la revisione.

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dall'articolo di Anna Ditta  per TPI.it 

 

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